Esposto fa rivivere Pepino Impastato
«Gli altri armati, lui aveva la parola»

Esposto fa rivivere Pepino Impastato «Gli altri armati, lui aveva la parola»
di Elisabetta Marsigli
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Venerdì 13 Aprile 2018, 13:15
Per Teatri d’Autore, ultimo appuntamento al Teatro Apollo di Mondavio dove questa sera è di scena lo spettacolo “Facciamo finta che... Sia una puntata radiofonica di “Onda Pazza” con Peppino Impastato, sulle frequenze di Radio Aut 98.800 mhz, a Terrasini, Palermo, in una sera di primavera del 1977”, interpretato da Giuseppe Esposto per la regia di Fabrizio Bartolucci. Un titolo lunghissimo che descrive già il contesto e la scelta di Esposto e Bartolucci di puntare sul senso della lotta di Impastato nei confronti di “Mafiopoli”, combattuta con l’arma sferzante dell’ironia. Alle 18,30, per Scuola di Platea, si svolgerà l’incontro con Marco Bucci del Movimento Agende Rosse. Info: 366-6305500.

Esposto, come è nata l’idea di questo spettacolo su Impastato?
«La ricorrenza della morte di Aldo Moro, mi ha ricordato che in quello stesso periodo fu ucciso anche Peppino, ma, la “concorrenza” con la morte dello statista, oscurò non poco questa notizia, per ovvi motivi. Impastato resta tuttora sempre un po’ nell’ombra, nonostante anche il bellissimo film a lui dedicato. Io sono di Palermo e “gioco in casa” su posti e atteggiamenti che, purtroppo, conosco bene».

La sua fu ironia contro l’indifferenza?
«“Una risata vi seppellirà”, era suo il motto per iniziare questi programmi radiofonici: i mafiosi avevano le armi vere, lui aveva la parola, anzi, la satira. Oltre ad essere un’emittente di controinformazione, il venerdì sera veniva trasmessa questa “Onda pazza” una trasmissione satirico-schizzo-politica per prendere in giro politicanti e mafiosi. Questo contò molto di più di tutte le partecipazioni politiche di Peppino, perché la radio arrivava a tutti: gli sberleffi nei confronti di grandi boss andavano a incrinare il potere della mafia, molto più delle azioni politiche».

Quali gli stimoli per costruire il suo personaggio?
«Inizialmente pensavo ad una immedesimazione, ma poi, con Bartolucci, abbiamo pensato di raccontare la sua storia, sviluppando i suoi pensieri, come se io lavorassi ancora in quella radio che è l’unica testimonianza diretta del suo lavoro: ai tempi delle radio libere, la sua voce è stata importantissima».

Sono luoghi in cui lei ha vissuto?
«Conosco i luoghi, l’omertà e quel tipo di situazioni, ma non ho vissuto quel periodo: per questo il regista, che invece ha vissuto il ’77, ha saputo ricreare il contesto di quel dibattito acceso, di forte denuncia politica e sociale».

La tragedia di Impastato era anche famigliare?
«Sì, il padre era, anche se ai margini, un mafioso e con lui ruppe ogni rapporto, anche se fu proprio il padre, finché rimase in vita, a non permettere che suo figlio fosse ucciso. La madre invece si riscattò alla grande dallo stato di omertà: ha combattuto in nome di Peppino, fino alla condanna dei responsabili del suo omicidio che arrivò nel 2004».

Lei lavora molto con gli studenti: quanto è importante la forma espressiva del teatro nei giovani?
«Moltissimo: senti la loro energia. Il teatro è emancipazione da vincoli e maschere del quotidiano: va oltre lo studio di un autore ed è bello sbloccare l’emotività e la sensibilità di chi si avvicina con passione e grande curiosità».
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