Notte dei ricercatori, pensieri e parole
con Peyote: «Ho uno spirito rap»

Notte dei ricercatori, pensieri e parole con Peyote: «Ho uno spirito rap»
di Andrea Maccarone
3 Minuti di Lettura
Venerdì 29 Settembre 2017, 15:39
Musica e parole stasera in piazza del Papa con Willie Peyote. Il rapper torinese salirà sul palco alle 21,45 in occasione della Notte Europea dei Ricercatori per concedersi al pubblico tra una chiacchierata e l’esecuzione di qualche brano.

Dunque non un concerto vero e proprio?
«Sarà qualcosa di più particolare. Si parlerà di ricerca, di linguaggi e comunque non mancherò di far ascoltare qualche brano dal vivo».

Rapper: un’etichetta che le sta stretta?
«Dipende da cosa s’intende per rapper. Oggi, per molti, è quel modo di scimmiottare lo stereotipo americano, nel gesticolare quando si canta o nel proporre un linguaggio scurrile. Ecco, in questo decisamente non mi rispecchio».

Quali aspetti della società di oggi la colpiscono a tal punto da scriverci una canzone?
«In generale mi piace osservare le relazioni umani e come cambiano a seconda dell’evoluzione dei tempi. Ad esempio, siamo tutti social e poi si fa fatica a parlare col vicino di casa. Mi interessa analizzare le infinite contraddizioni che viviamo».

Come arriva l’ispirazione per scrivere un brano?
«Vasco Rossi diceva che le canzoni nascono da sole. Ecco, in parte è vero. A volte mi arriva quella sensazione irresistibile di dover scrivere ciò che avverto. Altre, invece, mi siedo a tavolino e comincio a costruire lo scheletro del pezzo con un approccio più razionale. In definitiva non ho un metodo prestabilito».



Cosa pensa di questa nuova generazione di autori e cantautori di cui fa parte?
«Credo che grazie a questa nuova scena si sia riacceso un interesse verso la musica dal vivo e verso la canzone d’autore italiana. Basti guardare artisti come Levante o Thegiornalisti. Sono emersi da circuiti underground per finire in vetta alle classifiche e in mezzo a collaborazioni altisonanti».

Dunque un bel ricambio generazionale?
«Direi proprio di sì, e ci voleva finalmente. Eravamo finiti in un imbuto in cui il manistream musicale italiano aveva in media 50 anni, se non di più».

E per quanto riguarda le collaborazioni eccellenti, ce ne sono anche per lei?
«Nel mio nuovo disco comparirà Roy Paci. Ma vorrei sottolineare che le collaborazioni mi piace sceglierle sulla base di una stima reciproca, non secondo una logica di marketing per dare visibilità alla mia carriera».

Lei ha iniziato con varie band.
Ma quando ha capito che era giunto il momento di camminare da solo?

«In verità nasco come rapper solista da adolescente. Poi iniziai a suonare il basso e mi unii a delle band, fino a che l’istinto da compositore rap non ha fatto ritorno e quindi ho ricominciato a lavorare da solista. Anche se dal vivo sono sempre accompagnato da una band. Quindi, in un certo qual modo, il cerchio si chiude».

Come vede la sua musica tra qualche anno?
«Non posso prevedere cosa mi riserverà il futuro, ma sono sicuro che la mia musica migliorerà col tempo perché l’obiettivo è sempre far meglio domani. Di certo voglio fare musica che comunichi a più persone possibili».

Cosa ne pensa dei talent musicali?
«Sono la morte della musica. Mi trovo completamente in una posizione opposta a ciò che propongono i talent, che uccidono i sogni delle persone. Sono una fabbrica che sforna giovani artisti ad uso e consumo temporaneo, perché l’anno successivo arriveranno altri soggetti da immettere nel mercato per sostituire gli uscenti. In pratica creano dei casi umani».
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