Valeria Solarino oggi a Osimo
nella parte che fu di Sophia Loren

Valeria Solarino oggi a Osimo nella parte che fu di Sophia Loren
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Venerdì 8 Dicembre 2017, 15:54
ANCONA - Una giornata particolare, quella del 6 maggio 1938. Quel giorno Hitler era in visita a Roma, ma nell’immaginario collettivo degli italiani è il contesto di uno dei film più amati. Da “Una giornata particolare” di Ettore Scola, interpretato dalla Loren e da Mastroianni, è stata tratta una pièce teatrale che riscuote successo da due anni. Ne sono interpreti Giulio Scarpati e Valeria Solarino, oggi al teatro La Nuova Fenice di Osimo.

Valeria, con che animo ha accolto la proposta di interpretare la parte che fu di Sophia Loren?
«Ho un difetto: se una cosa mi piace, non mi spaventa. Quindi, non ho avuto esitazioni. Avevo visto il film, a suo tempo: i personaggi sono così belli, trasmettono quello che provano con le espressioni del volto. Una critica sottile del sistema, fatta con piccoli gesti e una sceneggiatura geniale. Valeva la pena accettare questa sfida, anche se noi non abbiamo la pretesa di avvicinarci ai due interpreti, e tanto meno al film».

Antonietta è una donna tosta, come tante altre da lei interpretate.
«Provo attrazione per personaggi che hanno un percorso, uno spessore. Ho avuto proposte per parti più piatte, soprattutto per il cinema e la tivù, e mi sono permessa il lusso di rifiutarle. A teatro, di solito, le donne sono tridimensionali, eroiche».

Non è la bellezza di un’attrice a indurre i produttori a proporre ruoli più leggeri?
«Intendiamoci, io ho fatto anche commedie, ma ho rinunciato quando l’interpretazione non mi avrebbe richiesto alcuno sforzo, parti che non mi divertirebbero neanche da spettatrice. No, la bellezza non è un problema, sarei un ipocrita a sostenerlo, non è un ostacolo. Ma è effimera e un’attrice deve poter far conto su ben altro: non ho puntato sull’aspetto fisico. Recitare deve darti soddisfazione. Talvolta piangere in scena è più gratificante».

Com’è lavorare con Scarpati, un antieroe?
«Il capocomico e il compagno di lavoro ideale, perché non è centrato su se stesso. È generoso. Con lui e con gli altri interpreti di questa compagnia è un piacere viaggiare in tournée, siamo diventati una famiglia».

Che distanza tra spettacolo e film?
«Sono due cose diverse. In teatro si perde la potenza dei primi piani, quello che dicono gli sguardi. Bisogna supplire con la voce e col gesto, esasperando certi aspetti. Per esempio, all’inizio, l’uscita del padre con i figli per andare alla parata assume aspetti quasi grotteschi. E poi la regista Nora Venturini, una donna molto sensibile, che è stata assistente di Scola, ha evidenziato l’ingenuità di Antonietta. Lei è come una bambina curiosa, innamorata del Duce».

La reazione del pubblico?
«Emozionante, ovunque. Si commuove, e questo non è scontato, a teatro. Anche se in tivù arrivi a tanta gente, il teatro ti permette di esplorare l’animo umano».

Qual è il passaggio che ama di più, in questa commedia?
«Il momento in cui torno da sola giù dalla terrazza, dopo la scenata. È scritto nel copione, ma nel film è scomparso, forse tagliato al montaggio. Io mi sfogo, parlo tra me e me, in siciliano».

In siciliano?
«Sono nata in Argentina, ma tutti i miei nonni erano siciliani».
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