Arbesser tra t-shirt bianche e cappotti
«Lo streetwear che amo per Fay»

Arbesser tra t-shirt bianche e cappotti «Lo streetwear che amo per Fay»
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Giovedì 15 Marzo 2018, 13:42
Inseparabile dalle sue t-shirt bianche, ritiene che il cappotto non possa mancare nel guardaroba di un uomo ma anche di una donna. Lo sostiene Arthur Arbesser, dallo scorso settembre direttore creativo di Fay, uno dei brand gestiti da Tod’s (gli altri sono Hogan, Roger Vivier e lo stesso Tod’s). Arthur, 35 anni, è nato a Vienna e dopo aver studiato al Central Saint Martins College for Art and Design di Londra si trasferisce a Milano dove inizia il suo percorso nella moda: 7 anni e mezzo da Armani e poi un anno come direttore creativo di Iceberg per la donna prima di approdare a Fay.

Arbesser quali sono le tre qualità più importanti che deve avere uno stilista?
«Carattere, intuizione e fantasia»

È d’accordo con chi afferma che oggi, per fare gli stilisti, oltre alla creatività occorre conoscere anche finanza e geopolitica?
«Sì, credo che fare lo stilista sia un lavoro antropologico. Bisogna conoscere la politica, usi e costumi di quel mercato visto che ormai i prodotti dei brand vengono distribuiti in tutto il mondo. Il mio stereotipo dello stilista è quello di una persona colta e curiosa e che quindi conosce molte cose».



Cosa consiglierebbe ai giovani stilisti o a chi si appresta a imboccare questa strada?
«Mi sento ancora giovane per cui non mi sento di poter dare dei consigli... Dico che è un lavoro difficile e tosto. Uno che sceglie questo lavoro accetta di soffrire. Ci vuole una mente aperta, zero pigrizia e mai stanchezza».

Come interpreta la professione di stilista?
«Credo non si un lavoro individuale ma di gruppo: occorrono mille mani per realizzare e produrre un capo o un paio di scarpe. L’immagine del lavoro dello stilista, quella dorata che viene data con le sfilate, è diversa dalla realtà. Le sfilate sono il risultato finale di un lungo lavoro che spesso non emerge».



Com’è stato il suo approccio con Fay?
«Ho incontrato tutti i professionisti che, con orgoglio, lavorano per questa splendida realtà. Ho notato molta volontà di fare e questo mi dà gli stimoli giusti. E credo di esser stato accolto bene. Il marchio Fay lo vedo spesso andando in giro e questo è un grande stimolo a fare bene».

Chi sono l’uomo e la donna Fay by Arthur Arbesser?
«Sono il giovane avvocato e la dottoressa ad esempio ma è sbagliato fermarsi a questi due esempi».

Quale outfit ritiene indispensabile per un uomo e quale per una donna?
«Per l’uomo un cappotto blu, un capo senza tempo, ben tagliato sulla sua figura. E anche per la donna, adesso che ci penso, è sempre il cappotto. Il focus è il capospalla Fay, anche per le nuove generazioni».

E lei cosa ama indossare? A cosa non rinuncerebbe mai?
«Contrariamente a quanto si possa credere e cioè stilista uguale vanità, sono poco vanitoso. Sono intento a vestire gli altri e non me stesso. Per questo il capo per me irrinunciabile è la t-shirt bianca. Ne ho almeno una ventina nell’armadio, mote delle quali stirate e pronte all’uso. Potrei andare nel guardaroba ad occhi chiusi».

Come dovremo vestirci questa estate per essere alla moda?
«Ci sono due tendenze principali. Una è lo streetwear, quindi misure oversize. Chi invece non vuol vestire streetwear va sul classico, con una bella camicia e con capi dove la qualità, i materiali e il taglio sono dominanti. E arriviamo al mondo Fay».

E lei come ha interpretato la sua prima collezione Fay destinata al prossimo inverno?
«Il capo iconico di Fay è il 4 ganci. E’ quello che dà la riconoscibilità al brand ed è anche quello che dà un valore emotivo. È stato proposto in varie versioni e in diverse declinazioni».

Qual è il suo rapporto con le Marche?
«Piuttosto stretto visto che praticamente ogni settimana sono nelle Marche due giornate... Si lavora bene, con gioia. C’è gente seria che ama il proprio lavoro e che ha la cultura del bello».

Arthur Arbesser nel febbraio 2013 ha debuttato col suo marchio eponimo da donna, lanciato grazie ai suoi risparmi e nello stesso anno ha vinto il concorso Who is on Next. Nel 2015 è stato finalista all’Lvmh Prize e a giugno dello stesso anno invitato come women’s guest designer a Pitti. Una carriera e un curriculum che lo portano ad essere uno dei giovani designer più interessanti del panorama mondiale del fashion. Molto spesso viene nelle Marche, nel quartier generale Tod’s di casette d’Ete ma soprattutto nel Fermano e Maceratese per seguire le varie fasi di lavorazione.
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