Merenda che passione: pane, salumi
e fantasia per una pausa da sovrani

Merenda che passione: pane, salumi e fantasia per una pausa da sovrani
di Elisabetta Marsigli
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Sabato 2 Dicembre 2017, 16:24
Il termine merenda viene dal latino ed è traducibile con «cosa da meritarsi»: è un pasto leggero che rompe la routine mattutina, o allieta la metà pomeriggio e, a volte, può sostituire la cena, permettendoci di andare a letto presto, senza pesi sullo stomaco. È veloce e composto, solitamente, da cibi non cucinati. La merenda dei bambini è tendenzialmente dolce, ma quella che andremo a proporre oggi è salata e dedicata alle eccellenze che si trovano sul confine marchigiano romagnolo. Il pane è sempre e comunque l’ingrediente principale, da gustare con prosciutto, formaggio di fossa e miele, accompagnati da un sangiovese o dalla cagnina romagnola.
 
Il pane
Partiamo, per questo viaggio nella genuinità con il pane, che nella sua semplicità accompagna le nostre tavole da sempre: un pane davvero speciale è quello di Maiolo, elemento basilare dell’identità di questo piccolo paese, noto sì per il pane (la cui festa cade di giugno) ma anche per i fantastici punti panoramici, unici nella vallata del Marecchia. Essendo a 600 metri di altitudine il panorama che si estende è davvero mozzafiato, dal Monte Fumaiolo, al Carpegna, San Leo e San Marino. In questa terra collinare una delle coltivazioni che ha avuto maggior fortuna è stata quella del grano. Gli ingredienti segreti sono l’acqua, la farina e la “pasta madre”, ovvero il pezzo di impasto della precedente panificazione lasciato fermentare per tutta la notte. I trucchi del mestiere sono il rapporto con il forno, che diventa quasi fraterno in un’intimità che racchiude piccoli accorgimenti, la passione e una manodopera accurata.


 
Il formaggio di fossa
Rimanendo nel Montefeltro, a pochi chilometri, abbiamo un tesoro che per fortuna non manca di estimatori e che naturalmente sta benissimo nella nostra merenda campagnola, insieme al pane: il formaggio di fossa di Sogliano e di Talamello, quest’ultimo chiamato per la prima volta “Ambra” dal poeta e sceneggiatore Tonino Guerra per il suo gusto prezioso e per la sua caratteristica di cambiare colore dal bianco (appena messo a stagionare nelle fosse di tufo) al giallo dorato che ha quando lo si tira fuori a novembre/dicembre. Vi sono tracce di fosse già dal XV secolo nate per nascondere i caci dalle scorribande e dalle ruberie dei soldati. Con il tempo ci si è accorti che il sapore dei formaggi migliorava e la qualità risultava eccellente a causa della sua stagionatura naturale. In questa zona del Montefeltro la tradizione vuole che venga fatta una sola infossatura all’anno inserendo forme preparate con il latte di maggio/giugno e già stagionate da almeno due mesi, per riportarle in superficie dopo 3 mesi.
 
Il miele
Usare il miele sul formaggio è una vera delizia del palato, soprattutto se si tratta di quello stagionato. Le nuove frontiere del gusto consigliano di scegliere l’abbinamento giusto tra i vari aromi dei mieli e i diversi gradi di delicatezza dei formaggi. La particolare disposizione delle colline che scendono sul mare, sia in Romagna che nelle Marche, offrono il “Millefiori del Montefeltro” un miele particolare e complesso, soprattutto per la presenza di pollini provenienti da diverse e numerose specie nettarifere e non, attraverso aziende che si tramandano di padre in figlio, recuperando le tradizioni e i migliori segreti di generazioni di produttori. La qualità di questo miele, deriva proprio dalla particolarità del territorio, montano e collinare, con molti apicoltori della zona che praticano ancora il nomadismo, ovvero lo spostamento delle arnie in determinate zone a seconda della fioritura, garantendone l’eccellenza.
 


Il prosciutto di Carpegna
La fetta di pane di Maiolo può essere guarnita anche dal prelibato sapore del prosciutto di Carpegna “San Leo”, tra le Dop più esclusive del territorio marchigiano, che ha ricevuto il riconoscimento di qualità nel 1996. È prodotto esclusivamente con cosce di maiali, che hanno raggiunto i 160kg di peso e di età non inferiore ai 10 mesi, nati, allevati e macellati nelle Marche, in Emilia Romagna e in Lombardia, mentre il sale utilizzato proviene, da secoli, dalle saline di Cervia. Il suo sapore è unico perché rappresenta quasi un anello di congiunzione tra quelli dolci come il Parma e il San Daniele e quelli molto saporiti come i toscani. Troviamo tracce «delle perfette carni, di formaggi, pollami, ova, carni salate e Presciutti di Montagna» nel Libro “La Carpegna abbellita et il Montefeltro illustrato” ad opera di Antonio Guerrieri da Carpegna del 1667, a indicare la tradizione antica e ben assodata nella concia di maiali. La merenda è pronta, manca solo un degno accompagnamento con due ottimi rossi: il consiglio, per rimanere in zona, è quello di gustare la Cagnina di Romagna, un vino Doc che si produce nelle province di Forli-Cesena e Ravenna dal dolce sapore fruttato e un po’ acidulo ora chiamato ufficialmente Romagna Cagnina. Oppure il classico Sangiovese, qui perfettamente a casa e volendo, vista la stagione, da gustare in versione novello ma ormai quasi scomparso dai mercati.
 
Il Museo diffuso del pane con i 50 testimoni di Maiolo
A Maiolo c’è il Museo del pane: un museo diffuso, che comprende i campi circostanti e i forni, più di 50, testimoni di un’epoca in cui l’aggregazione sociale veniva scandita dai ritmi naturali e agricoli. I forni, sparsi in maniera uniforme, vengono considerati una preziosa testimonianza di civiltà e un vero e proprio bene culturale per il loro fondamentale ruolo di collante dell’intera borgata, come ci riportano le cronache: «Si partiva al mattino all’alba per campi e pascoli con una sacca piena di formaggio, vino e pane, che veniva consumata intorno alle 7.30. A mezzogiorno, una donna di casa provvedeva a portare il pranzo sul campo, riponendo il pane in appositi canestri. Anche la cena, almeno durante la bella stagione, veniva effettuata nei campi ed era sempre a base di pane». Oggi, purtroppo, non tutti i forni risultano attivi, ma alcuni sono ancora in uso e ritornano perfettamente funzionanti in coincidenza con la Festa del pane.


 
La Cagnina di Romagna e l’immortale Sangiovese
La Cagnina di Romagna ha un colore rosso violaceo, odore vinoso, caratteristico e sapore dolce, di corpo, un po’ tannico, leggermente acidulo. Titolo alcolometrico volumico totale minimo: 11,50%. Temperatura di degustazione: 8-10 °C, da bersi giovane. Deve essere ottenuto per almeno l’85% dalle uve del vitigno Refosco localmente denominato Terrano. Possono inoltre concorrere le uve di altri vitigni a bacca nera idonei alla coltivazione per la Regione Emilia Romagna, fino ad un massimo del 15%. Il Sangiovese di Romagna è un vino storico che, attraverso la memoria degli anziani, conferma un sodalizio fatto di profumi e sapori di una «…terra aspra e generosa che tanto assomiglia alla parlata accesa e schietta dei romagnoli tutti…». C’è chi dice che il nome derivi da “jugum” (giogo) con riferimento al moto ondulatorio del paesaggio collinare, mentre altri amano raccontare di quei frati cappuccini di Santarcangelo di Romagna che nell’600 ebbero ospite il Papa che si invaghì di questo delizioso nettare.
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