Fontegranne a Belmonte Piceno, dove
formaggi e caci sono come figli

Fontegranne a Belmonte Piceno, dove formaggi e caci sono come figli
di Chiara Morini
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Sabato 9 Giugno 2018, 14:53 - Ultimo aggiornamento: 12 Giugno, 11:49
Caci persi e caci inventati: formaggi e caci dell’azienda agricola Fontegranne di Belmonte Piceno non sono dei semplici prodotti caseari. Chiedete al titolare Eros Scarafoni e vi risponderà che a loro è legato come dei figli. Fino al punto da dargli dei nomi propri e del tutto particolari. Secondo la sua creatività, che però non tralascia, nel nominarli, le caratteristiche del formaggio o del cacio che produce. Tipo più tipo meno, in azienda ne conta al momento oltre 20: 5 caprini, altri di pecora e altri ancora vaccini. Tutti fatti a mano. Tutti creati con latte crudo non pastorizzato. Solo un lavoro il suo? No, anche una passione.



Famiglia contadina
«Contadino io, mio padre, mio nonno e molto indietro ancora»: ad Eros Scarafoni basta una frase e riassume la storia della sua azienda. L’attuale Fontegranne nasce nel 1968 per mano di suo padre Alfredo, mezzadro. Poi i primi 9 ettari di terreno acquisiti, con una casa colonica, ed una stalla dotata di animali di pura razza marchigiana. Quattro anni di lavoro e nel 1972 a Belmonte arriva un’altra razza bovina, la frisona, e Alfredo inizia a produrre il latte. Sono gli anni in cui Eros va ancora a scuola e frequenta l’istituto agrario. Terminati gli studi, si specializza a Reggio Emilia, territorio fertile per le piccole industrie casearie a conduzione familiare. Arriva il 1984 e il giovane Eros inizia a lavorare a tempo pieno nella Fontegranne, curando l’azienda e occupandosi dell’allevamento. I formaggi non arrivano subito, per quelli bisogna attendere un po’ più di tempo, aspettare il 2000, quando decide di iniziare la produzione casearia. Non una qualunque però. Una che andasse a fondo e ricercasse i prodotti di una volta. E perché no, anche quella che rispettasse la sua creatività. Vedere il “Cheese for peace” per capirne la filosofia: «Un’idea, non un formaggio» lo chiama.



La cura dei dettagli
«Ogni anno per produrre i fieni migliori. Ogni giorno per alimentare i nostri animali e mungere il latte più buono. Ogni mattino per trasformare il latte appena munto in formaggi unici. Ogni ora per far maturare i nostri formaggi e arricchirli di profumi nobili»: Eros la sua filosofia aziendale l’ha pure scritta sul suo sito web. Fa tutto a mano e non lascia nulla al caso. Ogni formaggio, infatti, ha il suo taglio, il suo punto di rottura, fatta a seconda del caso, sempre manualmente. Ogni cacio ha il suo livello di acidità, ognuno il suo grado di cagliatura. A mano, in grandi recipienti, mescola il latte ed il siero, a seconda si tratti di mozzarelle o ricotte. Lo stesso per gli impasti. E per le forme.



Magrelle, lune, rosa spina e...
Mentre spiega che tutto è fatto con il latte crudo, nella sua azienda non si pastorizza, mostra come nascono le piccole “Magrelle”. Caciotte light, magre perché si consumano fresche: dalla rottura alla forma. Se il cacio o formaggio va stagionato, dopo la forma parte il processo di stagionatura. Nei frigoriferi, attrezzati per il tipo di formaggio. Ogni forma si volta a mano. Ogni tipo ha il proprio nome: dal “Luna Rossa”, che ha aspetto di una luna piena di colore roseo, al “Rosa Spina” perché il duro della crosta si sposa con il morbido, al “Luna Gialla”, giallastro, di cui si mangia anche la crosta. Il più grande si chiama “Cacio Magno”, una caciotta stagionata in ambiente a temperatura controllata. Per non far seccare la crosta si unge periodicamente con olio di oliva. C’è poi il formaggio “Bianco”, dalla crosta rossa, ma che prende il nome dal colore dell’interno. Dentro è bianco pure il “Casec”, recentemente annoverato tra i cinquanta formaggi Slow Food proprio per la sua fermentazione naturale, senza fermenti lattici, ma solo avvolto in foglie di noce e lasciato stagionare in un cassone di legno. Cose particolari, ma anche comuni: nella lista della spesa ci sono anche le comuni mozzarelle, ricotte e caciotte. Queste pure piccanti e con il tartufo.


 
“Cheese for peace” tra sapore e solidarietà
“Cheese for peace”: non un formaggio, un’idea letteralmente “Formaggio della pace”, il “Cheese for peace” è un formaggio particolare. Tre latti diversi: di vacca, di capra e di pecora, quest’ultimo che mette solo in questo. Tre pure le tecnologie casearie applicate: taleggio, gouda olandese, caciotta. Perché si chiama così? Perché dalla vendita di ogni formaggetta, Eros Scarafoni dona 50 centesimi per progetti umanitari, in collaborazione con il Cvm. Lo scorso anno con circa mille euro sono stati acquistati 25 kg di sementi, di cece, fagiolo bianco e mungo, e distribuiti a 2800 famiglie etiopi, colpite dalla siccità del 2016, nella regione del Gojam dell’est e dell’Amhara. Il progetto si chiamava “Semi di speranza” e, numeri alla mano, ha coinvolto 2.000 pezzi di questo “triplo” formaggio. Quest’anno è ancora da stabilire cosa si farà.
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