Uno per uno i segreti del vino cotto
Ecco come deve bollire il mosto

Uno per uno i segreti del vino cotto Ecco come deve bollire il mosto
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Sabato 21 Ottobre 2017, 17:14
«Ma per le vie del borgo, dal ribollir ‘de tini, va l’aspro odor dei vini, l’anime a rallegrar». Lo scriveva Giosuè Carducci nel 1883 raccontando odori ed emozioni dell’autunno. Immagini che non sono poi così lontane da quello che si vive ancora oggi nei piccoli borghi dell’entroterra maceratese dove le tradizioni dell’antica produzione del vino sono ancora ben radicate ed è un piacere tramandarle alle nuove generazioni. È così anche per Ripe San Ginesio, vicina di Loro Piceno, due paesi dove ancora oggi c’è una grande cura nella produzione del vino e del vino cotto, tanto da aver dato inizio, oltre vent’anni fa, ad una vera e propria manifestazione che fa rivivere i momenti in cui, dopo la spremitura dell’uva, si faceva bollire il vino per farlo conservare meglio. Un turbinio di sapori e di odori attraversa il piccolo borgo così che la manifestazione ha preso il nome de “I fumi cotti”. Una idea nata dal pittore contemporaneo, Silvio Craglia, che decise di unire l’arte del vino cotto a quella della pittura: in questo modo, ogni anno, tra la fine di settembre e i primi di ottobre, Ripe San Ginesio si anima di arte e storia per far conoscere le antiche tradizioni contadine legate al vino. 

Per conoscere a fondo l’origine di una bevanda nota solo in questa regione, sono indispensabili i racconti dei nonni che hanno vissuto da vicino l’invenzione del vino cotto. A narrare le motivazioni che hanno spinto i contadini maceratesi di un tempo a sperimentare questa bevanda è Luigi Farroni, ex presidente della Pro Loco di Ripe San Ginesio e profondo conoscitore delle tradizioni contadine: «Tanti anni fa - spiega - le attività in queste zone dell’entroterra erano completamente basate sull’agricoltura. Il lavoro nei campi, però, era impegnativo. Non c’erano i trattori moderni di oggi e la lavorazione della terra veniva fatta esclusivamente a mano o con gli attrezzi trainati dalle bestie. Per questo motivo - prosegue Farroni - i contadini avevano bisogno di bere, ogni tanto, un bel bicchiere di vino così da rinvigorirsi e poter proseguire meglio il lavoro pesante. Il vino che veniva fatto a casa, però, era puro e la mancanza dei solfiti faceva sì che spesso la bevanda diventasse aceto e non mantenesse per tutto l’anno». È da questa esigenza che i contadini cercano una soluzione affinché il vino, a loro utile durante le pause dal lavoro, potesse mantenersi buono. «Si decise così di provare a farlo bollire e vedere se, in quel modo, diventasse comunque aceto. L’esperimento riuscì benissimo e ne nacque una bevanda di una gradazione alcolica nettamente superiore a quella del vino, ma che riusciva a mantenersi per anni. Non solo, più invecchiava e più diventava dolce».

A Ripe San Ginesio, così come a Loro Piceno, sono diversi i produttori che continuano a fare vino cotto, non solo per uso domestico, ma anche per la vendita. Uno di questi è Giulio Bordi che, appresa questa antica arte da suo padre, ancora oggi continua a realizzare il vino cotto. Sono suoi i segreti per un vino cotto perfetto: «Anni fa - racconta - si pensava che il segreta per la buona riuscita di questa bevanda fosse nel far ridurre il mosto alla metà di quello che inizialmente era stato messo a bollire nella “callara”».
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