Fattoria Coroncino, il Verdicchio
è originale dentro e fuori le bottiglie

Fattoria Coroncino, il Verdicchio è originale dentro e fuori le bottiglie
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Venerdì 28 Aprile 2017, 11:42
ANCONA - Pochi formalismi, anzi nessuno. Parole schiette, discorsi concreti. Nel mentre un calice di Verdicchio che sprigiona profumi. Sulla riva destra del fiume Esino, tra i tornanti della strada che da San Paolo accompagna a Staffolo, ci sono Lucio Canestrari, Fiorella & famiglia. Sono loro l’essenza della Fattoria Coroncino. In primis Lucio. Cappello in testa e quel sorriso in simbiosi con lo sguardo tipico di chi non vuole chiacchiere, etichette e paradigmi. «Con i fondamentali sei in grado di fare tutto, ma se vengono a mancare diventi schiavo». In questa frase c’è la sintesi del suo lavoro tra le vigne. Ogni azione è estranea da paletti dettati dal mercato, dal volere del consumatore che vuole la certezza di un tot di etichette per l’anno successivo al fine di assicurarsi la carta vini senza sorprese. Con orgoglio «non ho nessuna certificazione da mostrare», alle recensioni «credo poco, perché il vino va bevuto, messo in tavola e, se piace davvero, la bottiglia si finisce tutta». Appese al muro le immagini della cristallizzazione sensibile del suo vino. Sul tavolo, vini con la data di apertura scritta a penna per testarli nei giorni a seguire. Per precisare come lavora e che «non posso garantire per il futuro» ha sentito l’esigenza di scriverlo, in maiuscolo su sfondo rosso, su etichette e cellophane intorno ai cartoni: ‘ndo arivo metto n’segno. Originario di Roma, Lucio decise di «fermarsi qua nel 1981», a Staffolo dove un ramo della famiglia aveva messo radici. Un giorno incontra Fiorella su un treno, e «la fortuna volle che lei, veneta come mia nonna, decise di seguirmi e vivere tra la terra, conoscendola e imparando a lavorarla insieme con un progetto comune». A loro si è aggiunto l’entusiasmo e la competenza di Valerio, il mezzano dei tre Canestrari junior (gli altri due sono a Londra e in Australia). I tre si definiscono viticoltori artigiani solitari indipendenti, e così si sono presentati, anche quest’anno al Vinitaly. Oggi «sono arrivato dove volevo arrivare, la sera vado a dormire tranquillo certo di aver trattato con diligenza l’ambiente, le viti e le vigne senza prodotti nocivi o andando contro natura». La diligenza «del buon padre di famiglia», che viene sottolineata anche nel biglietto da visita in cui Fattoria Coroncino è accompagnata dalla dicitura “i vini della diligenza b.p.f.”. Anno 1982 l’acquisto del vigneto a Coroncino. Anno 1986 il primo imbottigliamento con etichetta by Lucio, che lavorò di fantasia e di carta carbone. «Certe bottiglie avevano le etichette incollate tutte storte!», ride. Un lavoro artigianale, a tutto tondo. 1987, la scelta comunicativa è passata di scettro: da allora, ormai trent’anni, la mente artistica è l’italo-americano Peter Quell; leitmotive di ogni etichetta è un sole e le sue singole parti. Anno 1988 «la prima vendemmia “seria” in cui siamo passati da 2000 a 16000 bottiglie. – ricorda Lucio Canestrari – È stato l’anno della svolta con il terreno di Spescia e quindi con il vino Vigna Gaia che poi tramutò in Gaiospino. Il nostro vino iniziò ad essere esportato e apprezzato nei ristoranti stellati». Attualmente I clienti sono per il 50% stranieri e l’altra metà italiani, di cui il 35% made in Marche. Anno 1997, nuova cantina ma dirimpettaia all’altra. Fattoria Coroncino è, come si suol dire, casa e bottega. «Voglio portare in tavola solo ciò che darei ai miei figli». Il vino, «deve essere buono, e questo è soggettivo a seconda dei gusti, ma soprattutto non deve far star male». Lucio, e quindi anche Valerio, appoggiano l’agricoltura come quella di una volta. «Raccogliamo le uve in piena maturità, dal 1983 abbiamo l’inerbimento naturale e dal 1993 non si concima più - precisa il viticoltore - per mantenere autentico suolo e sapore dell’uva. Usiamo la pompa a spalla per il trattamento iniziale e utilizziamo il preparato 500. Raccolta in cassetta rigorosamente a mano con la pulizia dei grappoli. C’è da dire che ci muoviamo in libertà». Nessun enologo in cantina, ma solo l’enologo di assaggio, Alberto Mazzoni. «Esiste il sapore per ogni cosa, ma per averlo lo devi coltivare bene e per coltivarlo bene lo devi rispettare. È una logica elementare». Tra Staffolo, San Paolo e Cupramontana nelle rispettive contrade Coroncino, Cerrete e Spescia, vi è il totale di circa 12 ettari. 50mila bottiglie, «numero più, numero meno», con preminenza di Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico Superiore. Tra le bacche bianche anche 6000 metri di vigneto rosso. Solforosa sotto la metà del limite concesso per i vini biologici. Gaiospino e Il Coroncino i due Verdicchio di punta a cui si aggiunge Il Bacco, inaspettata sorpresa che è il risultato di una seconda spremitura, «il frutto di una scelta su uve già selezionate». Piacevole, e non stucchevole, il Bambulè, passito che un anno c’è … e l’altro non si sa, «dipende dall’annata e dal mio umore». Nel futuro, che porta il nome di Valerio, c’è una frizzante sorpresa che bolle in botte!
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