La scrittrice Evita Greco e la svagatezza
dei numeri uno: "Io e la mia amica dislessia"

La scrittrice Evita Greco e la svagatezza dei numeri uno: "Io e la mia amica dislessia"
di Barbara Ulisse
4 Minuti di Lettura
Mercoledì 10 Maggio 2017, 17:58
Mentre il suo «Il rumore delle cose che iniziano» sta per essere tradotto in molti Paesi dopo la bella accoglienza in Italia, lei attende placidamente di sapere che rumore avrà l’inizio per eccellenza, la nascita del suo secondo figlio che per ora – dice – rimane in silenzio.
Indico il pancione sotto la lana morbida. Nessun suono? Ancora no. E il rumore di sua figlia? «Lo scalpiccio dei piedini sul pavimento». È tutto un parlare di inizi, con Evita Greco. È tutto un parlare di suoni. Il bel titolo del suo romanzo d’esordio – successo davvero folgorante con Rizzoli – rimanda a un’alternanza tanto naturale quanto difficile da vivere fino in fondo. «Vedi solo le cose che finiscono e mai quelle che iniziano», dice il personaggio della nonna che nel libro inventa un gioco, un escamotage legato ai suoni per evitare alla piccola nipote lo spavento del cambiamento e delle cose che finiscono, introducendola all’ottimismo di quelle che cominciano.

La dimensione del domestico
Evita Greco è una donna che illumina la dimensione del domestico. «È vero, ne sono fatalmente attratta». E crediamo che il successo del libro risieda anche nell’aver nobilitato una dimensione quotidiana e un po’ magica. D’altra parte il complimento più bello – dice - l’ha ricevuto da un critico che nel suo libro ha trovato «la vita vera senza pose». Forse c’era un’urgenza in questa storia, qualcosa da raccontare al di là della mappa di suoni. «Il riconoscere la vera natura di ognuno di noi, e l’imperativo di assecondarla. Il riconoscersi dei personaggi tra di loro e con se stessi». Eccolo, il cuore del suo romanzo: la necessità di individuare la propria identità, la propria strada, e di seguirle. Un tema affascinante scandito da nuovi inizi, sonori. Il fischiettare di un bidello, il cigolio di una porta di ospedale.

Forcine, fiori e cuffie
Poi ci sono forcine, fiori, cuffie da doccia e rossetti, ulivi da piantare, scarpe con il tacco e caschi da palombaro, ma questo domestico serve per dirci di grandi scelte e di sentimenti profondi. Un libro ad alto tasso di autobiografia? «Ada mi somiglia ma forse sono più Matteo, anche se in fondo vorrei essere Giulia. Ma la storia deve avere una vita autonoma». Parla dei suoi personaggi principali – che nel romanzo formano un triangolo non solo amoroso - come se fossero suoi amici. «Matteo stava tanto male, poraccio»; «Nella prima stesura avevo dato a Giulia la dislessia per tenermela più vicina». La dislessia a Evita è stata diagnosticata da bambina ed è ancora compagna di alcuni inciampi: «Sì, ogni tanto ancora prendo qualche cantonata». Nulla in grado di ostacolare il grande amore per la narrazione, anzi. «La scrittura fa ordine, è stata terapeutica».

Un sorso di tisana
Gesticola, beve un sorso di tisana, parla del suo coinvolgimento assoluto nella lettura e nelle storie da costruire, si entusiasma nel citare autori dei quali ammira la scrittura come un dono, come un incantesimo. «Tutto il mondo dovrebbe voler fare lo scrittore» dice. E quindi leggere. «Ora non si legge più. Siamo distratti da intrattenimenti più veloci, siamo in una condivisione costante che ci allontana da noi stessi».
Pubblicare per Rizzoli avrebbe fatto insuperbire molti scrittori alla prima esperienza. Evita sembra non aver perso una speciale svagatezza - simile alla protagonista Ada, dalla innocenza disarmante - che la fa sembrare sempre un po’ altrove, a ruminare ingranaggi e trame, o a leggere, dentro la biblioteca dove ogni mattina va a studiare e a scrivere mentre sua figlia è all’asilo. Non nasconde che è il libro è nato da un’esercitazione alla scuola Palomar, ne fa anzi un punto di forza: «Ogni racconto ha un’impalcatura che si costruisce. L’idea originaria deve essere sostenuta da una tecnica che si impara».

Il tono lievemente malinconico
Racconta con il suo tono lievemente malinconico e aderente al vero come è andata. La scuola è collegata ad un’agenzia letteraria di Milano: un editor dell’agenzia dopo le prime cinquanta pagine vuole leggere per intero il manoscritto e se ne innamora, tanto da portarlo all’attenzione di sei editori diversi. «Ho avuto la fortuna di poter scegliere». E ora la traduzione in tante lingue diverse. Che effetto fa? «Devo metabolizzare il fatto che la mia storia è nelle mani di qualcun altro. Mi fido. Sarà una bellissima amplificazione». Perché questo libro ha avuto successo? Tre risposte immediate. «Il titolo. L’ho scelto io e non poteva essere che quello. L’autenticità, che evidentemente si avverte. L’attenzione all’umano». Stai lavorando ad un altro romanzo? «Sì. Riguarderà la maternità. E a come si fa a mediare in termini di spazio e di tempo con la presenza di un figlio». La vita vera, senza pose.
 
© RIPRODUZIONE RISERVATA