Calamaio e spada: il fascino di lady Trebbiani
la poetessa che difese il marito in battaglia

Calamaio e spada: il fascino di lady Trebbiani la poetessa che difese il marito in battaglia
di Laura Ripani
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Domenica 7 Maggio 2017, 14:37
«È detto essere le donne mal atte a severi studj e a difficili e serie meditazioni» sentenzia nel suo “Memorie intorno ai letterati e artisti di Ascoli Piceno” Giacinto Cantalamessa. Ma prendendo in esame Elisabetta Trebbiani può fare un’eccezione e la inserisce nell’«Italico Parnaso» perché «nella volgar poesia acquistò fama di esimia verseggiatrice». Insomma, una donna straordinaria, citata anche dal venerabile Francesco Antonio Marcucci fondatore delle suore Concezioniste nel suo “Saggio delle cose Ascolane” e non solo perché è tuttora tra le poche letterate italiane, piuttosto intriga la leggenda che la vuole tanto ardita da essere stata lei a difendere il marito in battaglia, restare ferita e addirittura continuare a combattere. 

Le certezze
Partiamo comunque dalle certezze: Ascoli, la sua città dove visse nel XIV secolo le ha dedicato una via, quella che da piazza Ventidio Basso conduce a Porta Solestà costeggiando il fiume Tronto. E anche una scuola, prima istituto magistrale oggi liceo classico, delle scienze umane e linguistico Stabili-Trebbiani. Cosa non da poco in una toponomastica come quella italiana che snobba le donne - è intitolato loro solo il 4% delle vie cittadine - e ancor di più quelle della storia della letteratura ché il gentil sesso più che protagonista può essere ricordata solo se è assurta al ruolo di santa o musa. Beatrice, del Sommo Dante, docet. Giova quindi ricordare che sono state quasi contemporanee queste due opposte figure femminili, la «gentile e l’onesta» e la nostra impavida ascolana come sostiene Bernardo Nardi in un suo ritratto. «Le ultime notizie - si legge nell’opera - che parlano di lei sembra datino 1397». Il resto è mistero che scalda però il cuore delle amazzoni moderne. I natali, si sa, contano. E contavano soprattutto nel Medioevo, quando nascere da buona famiglia faceva indubbiamente la differenza. E lei, Elisabetta, ebbe la fortuna di provenire dalla stirpe che diede nientemeno che un podestà a Firenze (Meliadusse Trebbiani) e un abbreviatore apostolico alla chiesa, lo zio Pietro Trebbiani. 

Le gesta
Ci mise, a dir la verità del suo se oggi siamo ancora qui a ricordarne le gesta. Innanzitutto andò sposa e per amore - altra affermazione di emancipazione ante litteram - di Paolino Grisanti capitano di ventura dedito alle armi. Che neppure lei disdegnava d’imbracciare. 
Si narra fosse proprio una sola cosa con il grintoso marito tanto da seguirlo quasi sempre addirittura nei blitz notturni per le vie (rue ndr) di Ascoli e la tradizione orale racconta che addirittura lei superasse di molto alcuni degli uomini della compagnia, sicuramente surclassava tanti nemici. Non disdegnava certo di affrontarli, poi, restando pure ferita per difendere lo sposo durante uno scontro tra bande rivali: riuscì nientemeno che a conservare le forze nonostante il vulnus. Girava - si dice ancora - in «abito civile ed armata», fatto sicuramente inusuale per quei secoli: insomma un’antica Lady Oscar, per chi ama i Manga Anni Ottanta, e non a caso perché anche il suo attuale personaggio inserito di diritto nel corteo storico della Quintana è a cavallo. 
Una personalità quella di Trebbiani riscoperta infine nel 1800 capace di accendere i cuori dei Risorgimentali. Ma se la nostra Elisabetta, o Lisbetta come si legge talora, si segnala per la spada, con la penna non è stata da meno. Affascinante, sensibile e colta, la sua figura letteraria è stata valorizzata dal Crescimbeni che nel Settecento trovò nell’Archivio del Duomo di Ascoli un suo sonetto dedicato alla fabrianese Livia di Chiavello.

La stroncatura
Giambattista Carducci, al contrario, la stroncò al pari di tutte le sue contemporanee dubitando anch’egli delle capacità letterarie femminili e dunque di quelle della “nostra”. Certo è che se tornasse in vita saprebbe, Trebbiani, come trattarlo convincendolo delle sue qualità artistiche forse più con la spada che con il calamaio. Ma entriamo nel campo delle illazioni. Ai profani può bastare ammirare lo sguardo sognante di questa bella donna che per il Nardi è figura «emblematica delle tante doti che le ascolane di ogni tempo hanno» nel ritratto conservato nelle sale di rappresentanza, non a caso, della prefettura al centro della città.
«Un’opera che è stata recentemente restaurata» spiega orgogliosamente il direttore dei musei dell’Arengo, il critico Stefano Papetti. 
 
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