L'intellettuale Gladys Salvadori
e il suo senso per i disabili e la famiglia

L'intellettuale Gladys Salvadori e il suo senso per i disabili e la famiglia
di Valentina Berdozzi
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Lunedì 11 Giugno 2018, 13:07
Gladys Salvadori Paleotti Muzzarelli, un nome e tre cognomi. Tanti, eppure insufficienti a contenere le memorie di una donna dalla storia intensa e intrecciata, vissuta lungo un secolo che ha attraversato come intellettuale - figlia di antifascisti e antifascista a sua volta - e, poi, come custode dell’archivio di famiglia, quello a nome Salvadori-Paleotti, creato ufficialmente nel 1964 e riconosciuto dal ministero trent’anni dopo. È qui, tra le carte che ripercorrono una discendenza disseminata tra le Marche e l’Inghilterra, che Gladys ha tirato le file di una famiglia votata alla libertà e all’indipendenza, come se l’anticonformismo fosse un marchio di fabbrica, uno stemma, lo stendardo di quelle antiche casate nobili.

Il desiderio di vita
Il desiderio di vivere senza freni e imposizioni Gladys l’aveva ereditato dai genitori, intellettuali anticonformisti discendenti di facoltose famiglie di origini anglo-americane: era infatti la primogenita di Giacinta Galletti di Cadilhac e di Guglielmo Salvadori Paleotti, detto Willie, filosofo positivista-evoluzionista e docente universitario, nonché sorella maggiore di Gioconda, che poi la storia partigiana avrebbe ribattezzato Joyce Lussu, e di Massimo, noto come Max, storico e antifascista. Quegli ideali Gladys li aveva respirati sin da subito, appena nata, il 10 novembre 1906, a Perugia, a casa degli zii paterni - e con questi e le scelte antimilitariste e anticolonialiste dei genitori era cresciuta, educata a ripudiare quanto di asfittico e retrivo c’era nella classe sociale di appartenenza.

La Firenze degli Anni ‘20
Le ha trascorse così l’infanzia e l’adolescenza, Gladys, nella Firenze dei primi anni Venti e in un clima di libertà intenso, incoraggiata a una mentalità laica, aperta e critica e instradata a un’educazione poliglotta. Le parentesi estive erano invece a Porto San Giorgio, a Villa Marina, dimora della famiglia paterna costruita dal bisnonno Luigi, promotore della bonifica del tratto di costa adriatico su cui si affaccia la cittadina di mare.

Il buen retiro
E fu proprio la Porto San Giorgio degli anni Venti ad accogliere Gladys e i fratelli dopo lo scoppio del conflitto mondiale quando, per sfuggire alle ristrettezze economiche e alle difficoltà imposte da una Firenze sotto guerra, i genitori decisero di ripiegare nelle Marche e permettere così ai figli di concludere la formazione primaria. La vena contestatrice dei Salvadori Paleotti, però, ora che il fascismo stava imponendosi in tutto il Paese, segnò un’altra delicata pagina della vita di Gladys, che si aprì quando, nel 1924, il padre Guglielmo, vivace oppositore e antifascista, venne sfregiato a aggredito mentre si trovava a Firenze. Tutta la famiglia, così, fu costretta a riparare in Svizzera, raggiungendo Gladys nel cantone Vaud, dove si era trasferita l’anno prima per insegnare alla Fellowship School, un istituto ispirato ai principi di fratellanza e non-violenza. Rientrata nelle Marche per conseguire la maturità classica, si iscrisse al prestigioso Istituto di Scienze dell’educazione “Jean-Jacques Rousseau” di Ginevra, dove conseguì il diploma in Psicologia che le spalancò la possibilità di lavorare come istruttrice in varie zone d’Europa, dedicando particolare attenzione ai bambini disabili.

Il ritiro del passaporto
Con loro lavorò nella villa di famiglia dei Salvadori a Fermo, in zona San Tommaso. Qui Gladys si trasferì definitivamente dopo l’apertura di un fascicolo a suo carico nel casellario politico centrale e il ritiro, nel ‘37, del passaporto. Il fermo obbligatorio a San Tommaso le permise di conoscere il medico condotto Erminio Muzzarelli, originario di Modena, che sposò nel 1938 e da cui ebbe cinque figli. Ufficiale medico della Croce rossa, Muzzarelli la lasciò presto vedova: dopo la tragica scomparsa del marito e l’arresto e il confino della madre, Gladys si ritirò definitivamente a San Tommaso dove si dedicò a una intensa opera di conservazione, riordino e trascrizione del vasto patrimonio archivistico e documentario di famiglia.

Studiosa e traduttrice
Sempre alla famiglia fu orientata la sua attività di studiosa e traduttrice, che le permise di diffondere in Italia l’opera di Margaret Collier, la nonna materna, di riscoprire la figura dello zio materno Roberto Clemes Galletti, pioniere della telegrafia senza fili e del prozio naturalista Tommaso Salvadori, della collezione ornitologia del quale fece dono Comune di Ferno per il museo che ne porta il nome. La vena familiare tornò a pulsare per “Le Inglesi in Italia”, libro sulla storia degli avi realizzato dalla sorella Joyce Lussu: fu questa l’opera omnia di una vita in cui libertà e famiglia furono colonne portanti scritte nel nome - e nei cognomi - di una donna eclettica, generosa, acculturata e libera sopra ogni costrizione.

Chi era
Gladys Salvadori Paleotti Muzzarelli nasce a Perugia nel 1906 ma è sangiorgese di adozione. Laureata in psicologia, girò l’Europa e lavorò come educatrice in Germania, Spagna, Francia e Svizzera, dedicandosi all’educazione dei bambini disabili. Proprio ai bimbi con problematiche aprì le porte della dimora di famiglia di San Tommaso di Fermo, dove visse fino alla morte, nel 2000.
 
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