Lighea, da Castrocaro a Sanremo
«Mi sentivo inadeguata. Il canto mi ha salvato»

Lighea, da Castrocaro a Sanremo «Mi sentivo inadeguata. Il canto mi ha salvato»
di Valentina Berdozzi
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Domenica 31 Dicembre 2017, 12:28 - Ultimo aggiornamento: 12:35
FERMO - Fermarsi, capire, mettere un punto. E poi ripartire, lasciandosi alle spalle palcoscenici che sono stati croce e delizia di una voce incantevole e di una sensibilità vivissima e accesa. Tornare - più forte, più consapevole, più decisa. Ammettendolo: «Questa sono io e, per la prima volta, piaccio anche a me stessa». In epoca di talent show, voto e televoto, forse un giudice più severo di sé stessa la fermanissima Tania Montelpare - in arte Lighea - non avrebbe saputo trovarlo: implacabile, impietoso, spietato nell’imporle una perfezione che sembrava non arrivare mai. Ma anche saggio - dice lei - nel consigliarle la via del silenzio e della lontananza prolungata da un modo di fare musica consumistico e intransigente, superficiale, dettato dai numeri, che con lei non aveva nulla a che vedere. 

«Saggio perché ora posso guardare con serenità alla mia vita, senza quella fastidiosa sensazione di inadeguatezza che mi ha accompagnata sempre, fin da quando ho messo piede per la prima volta sui palcoscenici più famosi. Adesso posso affrontare quello che mi capita con forza, consapevole che la mia voce è un dono, che quello che faccio ha uno scopo, che quello che sono è la celebrazione a una vita piena di eventi, a cui siamo noi ad attribuire un significato preciso». 

Sorride Lighea e le fossette sono quelle della ragazzina timida sul palco di Sanremo o di quella emozionatissima che, a Castrocaro, strappa di diritto un biglietto di solo andata per il successo. Eppure, quella Lighea lì sembra essere lontana anni luce dalla Lighea di oggi, che finalmente è in grado di pensare al passato con rinnovata tenerezza. Come se oggi fosse il punto d’arrivo di una trasformazione radicale, una di quelle rivoluzioni personali che - dice lei - sono il vero sale per cambiare il mondo e renderlo un posto migliore. «La più grande preghiera da innalzare al cielo è essere all’altezza dei propri talenti e, anzi, utilizzarli per fare qualcosa di buono per gli altri. Abbiamo un ruolo preciso da vivere nella vita e una missione da rispettare: essere noi stessi e far fruttare quello che siamo in qualcosa per cui valga la pena lottare e credere» - ribadisce Lighea guardando con la coda dell’occhio la tastiera accanto a lei.

I tasti bianchi e neri, la sicurezza del loro alternarsi, fanno da contraltare alle onde colorate del ciuffo sbarazzino che le ricade sul viso, a illuminare uno sguardo di nuovo fiero e sereno e un lato di testa rasata da vera ribelle. Sarà anche per questo che, finita la frase, sui quei tasti Lighea appoggia le dita: quasi a mostrare, anche fisicamente, la parte che in questa sua trasformazione hanno giocato la musica e l’arte. «Il punto di svolta della mia vita esistenza è tutto condensato in una canzone e nella notte in cui è nata” - esordisce - “Il brano si intitola semplicemente ‘Ho’ e quel verbo, col suo senso di possesso, è l’emblema del momento in cui, a 35 anni, mi sono resa conto di aver vissuto tante esperienze nella mia vita, ma di averlo fatto appesantita da una patina di angoscia che non me ne faceva apprezzare e godere nessuna fino in fondo». 

«Ero sempre proiettata fuori - continua - e altrove, come se ciò che mi avrebbe reso felice non era quello che stavo vivendo al momento ma qualcosa che sarebbe dovuto arrivare di lì a breve, chissà come e quando. Così vivevo ma era come se non lo facessi davvero, in un’eterna dissonanza tra realtà e aspettativa, tra vita vera e ipotesi di vita - in un vuoto che mi aveva assorbito e triturato. Finché una notte - la notte di ‘Ho’ per la precisione - mi sono fermata e ho messo un punto». 

«Per l’ennesima volta - spiega con lucidità - in vita mia ho compilato un bilancio mentale della mia esistenza, elencando i traguardi raggiunti, le persone conosciute, le esperienze vissute, le canzoni scritte e composte. A fianco, però, scorrevano anche il dolore provato, l’insoddisfazione che ho sempre covato in me e che non mi faceva assaporare niente di tutto questo, quel senso di vuoto e inadeguatezza che mi soffocava da dentro». 

È spietata l’analisi introspettiva, questa ragazza. «Ho capito che tutto quello che avevo vissuto fino a quel momento era una mia scelta, che non mi aveva spinto nessuna costrizione se non quel terribile senso di non essere mai all’altezza di niente e quell’idea fissa in mente di dover dimostrare qualcosa a qualcuno; ho capito che la vita è fatta di accadimenti a cui siamo noi ad attribuire un valore positivo o negativo; ho capito che quello che arriva è per te e ti serve ad arrivare là dove c’è il senso della tua esistenza». Lighea fa una pausa, come se la sua trasformazione fosse un continuo divenire e la sua nuova muta fosse costantemente in creazione, anche adesso. È un fiume inarrestabile di consapevolezza, lei che chiude la frase sancendo che l’alba di quella notte è stata una mattinata in cui, con rinnovato sguardo, ha cambiato prospettiva di vita e accettato la sua sensibilità come un dono e non come una condanna. La notte prima di quell’alba, invece, Lighea la riassume in una foto: «Sfogliando le immagini della mia ‘vecchia me’” - scherza - “mi trovo di fronte una ragazza solare, sorridente. Ma era una Lighea finta, che indossava la maschera dell’apparenza serena. Sotto quella copertura c’era una ragazza che si sentiva profondamente inadeguata, angosciata, triste, rincorsa dall’ingombrante ricordo di un vicino di casa e delle sue molestie subite da piccola».

A raccontare di lei, però, le foto non bastano: serve la musica e serve l’arte di fare musica - perché senza il canto, confessa oggi Lighea, “sarei morta”. Anche la sua vocazione è passata sotto la lente del suo giudice: «Avevo raggiunto la fama e la popolarità ma quando, a un mio concerto, ho visto delle ragazzine sotto al palco in visibilio non per me o per le mie canzoni ma per il modo in cui l’industria della musica mi aveva presentato ho capito che tutto questo non faceva per me. Sono tornata dietro alle quinte e ho preferito spegnere il microfono, per trovare la mia autenticità e un senso profondo al mio cammino. Sono stata un bel pezzo in silenzio fino a che, nel 2006, dopo dieci anni di attesa, sono uscita con un nuovo lavoro interamente scritto da me: tornare a cantare è stato come soffiare via dal cuore tutto il peso accumulato in questi anni e sentirmi di nuovo libera da qualsiasi catena mentale». E, soprattutto, è stato l’alba di un nuovo capitolo in cui la musica è solo arte e, Lighea, un’artista uscita vincitrice dal confronto col terribile giudice di sé.
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