Margherita Carlini, la criminologa
che ha ancora Melania nel cuore

Margherita Carlini
Margherita Carlini
di Talita Frezzi
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Domenica 21 Gennaio 2018, 16:03 - Ultimo aggiornamento: 16:49
ANCONA - «I problemi fondamentali delle donne nascono anche e soprattutto da questo: il fatto di essere donne». Oriana Fallaci, nel suo libro “Il sesso inutile” del 1961 trafigge il cuore della sfera femminile guardando in faccia all’essere donna oggi nel mondo, convinta che forse per le donne la felicità non esista. E proprio dalla parte delle bambine, delle donne, delle vittime di un mondo ancora troppo ancorato a una mentalità maschilista e oppressiva, si schiera come una guerriera Margherita Carlini, anconetana, criminologa di professione. Donna forte e fragile al contempo, Margherita ha scelto di fare del suo immenso amore per la vita e fiducia nell’intima, primitiva bontà degli esseri umani, una rotta che la porta a essere testimonial della lotta contro uno dei mali del secolo, la violenza di genere. E non le servono scarpe rosse, ma solo il suo grande coraggio. «Amo la vita, per questo, anche per questo, ho scelto di stare al fianco delle vittime - racconta - penso che siano loro quelle che maggiormente si siano attaccate alla vita. Lavoro con la morte, tutti i giorni, e per me è stato un modo per esorcizzarla. Guardare dritto qualcosa che nella società moderna è sbandierato sì, ma infondo affrontato come un tabù».

Dalla parte della vita.
Margherita Carlini non nasce guerriera, ci è diventata col tempo. Come molte. Intraprende studi di Psicologia all’Università di Urbino (anche se confessa che fino all’ultimo è stata intimamente combattuta con Medicina e il sogno di bambina di fare la veterinaria) e durante il cammino accade qualcosa: l’incontro con la reclusione, con la degradazione umana e con la privazione della libertà. È come mettersi faccia a faccia con la crudeltà dell’uomo, con istinti bestiali repressi. «Stavo facendo il tirocinio al carcere di Fossombrone, dove vi erano anche reclusi nella sezione di massima sicurezza - racconta ancora - vi andavo insieme al mio tutor, specializzato in psicologia giuridica. E la mia prima considerazione, vedendo anche miei coetanei in carcere per reati aberranti come l’omicidio, è stata che la differenza tra chi è fuori e chi è dentro dipende dalle opportunità avute nella vita». 

«Mi sono sentita fortunata»
«Mi sono sentita - continua - davvero fortunata. Ho pensato in quali contesti sociali e familiari avessero vissuto per consumare la loro vita in carcere e scontare pene altissime per reati tanti gravi... mentre io ero sempre amata, coccolata e iperprotetta dai miei genitori, in particolare mio padre, che pur appoggiandomi nelle scelte erano in apprensione quando dovevo andare al carcere». Da quello stage Margherita ha scelto la criminologia. Eppure la reclusione, la privazione della libertà, gli sguardi incattiviti di quegli uomini dietro le sbarre non hanno fatto spegnere la sua grande fiducia negli esseri umani e in questo mondo sempre più marcio a cui ha affidato, con coraggio e speranza, le sue due creature Filippo e Leonardo, la parte migliore di sé. 

Il sogno del primogenito
«Il primogenito è arrivato quando stavo facendo il master in criminologia con il professor Picozzi - ci confida - oggi che ha 12 anni mi guarda incuriosito e butta là che vorrebbe fare l’avvocato... vedremo! In fondo anche loro vedono le cose come me.. Nonostante la cattiveria, la morte, le sopraffazioni e i rischi di questa società, ho sempre pensato che ne valesse la pena. Da donna e da madre. La vita è un dono assoluto, ciascuno viene al mondo per dare il suo contributo a migliorarlo un po’. Vedo in ogni persona grandissime, infinite risorse». Ha il nome di una piantina perenne, che nel linguaggio dei fiori ha diversi significati positivi e collegati con il concetto di verità. E lei, fragile e bella come un fiore, ma anche forte e determinata come una mamma deve essere, afferma quotidianamente il suo ruolo di professionista in un mondo ancora troppo declinato al maschile. 

Forte e insicura
«Sono una donna tanto forte quanto insicura, che vive giorni fantastici e altri di crisi. E che deve dimostrare sempre il doppio per avere credibilità in ambienti prevalentemente maschili – continua Margherita Carlini – se sei bella viene messo in discussione ogni traguardo perché puoi esserci arrivata tramite delle “scorciatoie”, se sei capace lo devi dimostrare sempre di più di un collega uomo. Il mondo parla ancora troppo al maschile». Certe esperienze segnano, cicatrici sottilissime che restano per la vita. E influenzano il modo di guardare e di vivere. «Anch’io come tutte, ho sperimentato una relazione aggressiva in cui la privazione della libertà era violenza. Questa esperienza diretta, sulla mia pelle, e lavorare nei centri antiviolenza hanno cambiato profondamente il mio modo di vivere le relazioni interpersonali».  L’esperienza in prima persona, la consapevolezza di donna nelle diverse declinazioni della violenza e la sua professione di criminologa, sono stati elementi chiave per i quali la Regione Puglia l’ha scelta come testimonial della campagna di sensibilizzazione contro la violenza di genere. Come se dalle sue cicatrici filtrasse una luce di speranza per tutte. «Da anni sono al fianco delle donne vittime di violenza - conclude - perché penso che la violenza può colpire tutte noi».

Melania nel cuore
«In questi anni di professione ho parlato di tante donne vittime, di tanti abusi. Sono stata chiamata a confrontarmi su drammi davvero duri da trattare, da spiegare. Casi umanamente al limite, ma quello che più mi ha toccato è stato l’omicidio di Melania Rea, per il quale ho operato come consulente di parte. Un grosso caso mediatico che ha scosso le Marche. Lei seppur vittima del marito, rimasta incompresa nelle varie forme di prevaricazione domestica – economica, della libertà e psicologica - cui era costretta quotidianamente». Toccare con mano il contesto in cui è nato uno schema criminale l’ha fortemente segnata. «Melania era al centro di una relazione maltrattante e per la prima volta confrontandomi con professionisti e periti, parlai di “femminicidio” quando ancora questo termine non era usato. È stato difficile, umanamente davvero difficile per me. Non si può rimanere distaccati di fronte a un caso del genere, perché una madre di 27 anni accoltellata con crudeltà inaudita dal marito e lasciata morente in un bosco, mentre il marito-assassino si allontana con la figlia...ti resta dentro per sempre».
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