Flora Zuzzeri, la croata di Ancona a cui
Torquato Tasso dedicò anche dei versi

Flora Zuzzeri
Flora Zuzzeri
di Antonio Luccarini
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Domenica 8 Ottobre 2017, 16:41
«Nè stelle mattutine e rug iadose//si mostran così vaghe in puro cielo//come gli occhi sereni ond’ ardo e gelo//né come i labbri e le vermiglie rose.// E certo è questo un fior d’alta bellezza// e di virtù che nell’Illiria nacque,//ma trasportollo Amore in questa riva;//ove i sospiri in vece d’aura estiva//e i pianti amari son le tepid’acque//che gli accrescon l’odore e la vaghezza». Con queste rime musicalissime Torquato Tasso, fidando nella potenza eternatrice della poesia, delineò la figura di Flora Zuzzeri per accontentare l’amico Giulio Monti che se ne era invaghito e voleva far omaggio prezioso alla donna di un ritratto in versi realizzato da un grandissimo e celebrato autore. 

Il non-incontro
Il poeta ferrarese in realtà non l’aveva mai incontrata di persona, ma volle ugualmente cimentarsi in questa esercitazione poetica, non soltanto per compiacere un caro amico, ma anche perché si trattava di entrare in una sorta di competizione ideale con i più affermati artisti del tempo proprio perché l’affascinante signora era già stata oggetto di molte altre produzioni letterarie che avevano firme illustri come quelle di Bona, Battitorre, Slatarich, Monaldi e Ragnina. Che cosa aveva di così straordinario la bella ragusea che viveva ad Ancona nell’antico rione di San Pietro? A leggere i resoconti dei suoi contemporanei nessun avvenimento straordinario aveva mai segnato il suo lungo percorso di vita. 

Dalla Croazia ad Ancona
Flora che aveva lasciato la città natale in Croazia undicenne per spostarsi ad Ancona e vi fece ritorno nel 1577 come giovane sposa di un importante personaggio della diplomazia internazionale, il fiorentino Bartolomeo Pescioni. Ma non erano state di certo la posizione sociale o la ricchezza posseduta che la fecero diventare in breve tempo una delle donne più celebri della Croazia: Flora era dotata di una bellezza non comune capace di affascinare chiunque fosse venuto a trovarsi difronte a lei. Il suo più grande ammiratore era in quegli anni il coltissimo filosofo Nicolò Vito di Gozze che la rese protagonista, assieme alla moglie Maria Gondola, di due celebrati dialoghi stampati a Venezia nel 1581. Nelle due opere si celebrava, in senso platonico, il valore educativo e salvifico della bellezza di cui Flora e Maria costituivano due immagini viventi. 

Una figura leggendaria
Flora divenne in quegli anni una sorta di figura leggendaria ma l’esaltazione per la sua bellezza senza pari e per i suoi modi emancipati e liberi rispetto ai costumi tradizionali ragusei, ben presto, finirono per suscitare diffidenza ed ostilità nei suoi confronti da parte delle nobili dame ragusee. Le fiamme dello scandalo e del pettegolezzo non si spensero neanche con la difesa pubblica che Maria Gondola fece della sua amica Flora; anzi, l’ostilità nei confronti della bellissima croata crebbe a tal punto da danneggiare economicamente l’attività mercantile del marito. E nel 1583, per lasciare alle spalle le maldicenze, Bartolomeo e Flora si imbarcarono tornarono ad Ancona. 

La casa di San Pietro
Nella bella casa del quartiere di San Pietro, Flora, comunque, cercò di ricreare il clima di vivacità culturale che le aveva scaldato il cuore negli anni del soggiorno raguseo. In un ambiente sociale più aperto rispetto a quello croato, Flora Zuzzeri riuscì ad organizzare in casa propria una vera accademia letteraria. Così come aveva fatto a Ragusa, la donna compose versi in lingua italiana e in croato divenendo simbolo, per molte donne di entrambe le sponde dell’Adriatico, di emancipazione femminile e di orgoglio di genere. 

La richiesta di Monti
Fu in questo periodo che il poeta Giulio Monti, frequentatore della casa, chiese all’amico Torquato Tasso di immortalare con i propri versi il valore di questa donna così straordinaria. Dopo la morte del marito, avvenuta nel giugno del 1593, per Flora, che non aveva avuto figli dal suo matrimonio, iniziò un lunghissimo periodo di solitudine nella vedovanza, alleviato soltanto dal sostegno del fratello Bernardo e delle sorelle. Finì i suoi giorni all’età di 96 anni nel dicembre del 1648 e le sue spoglie furono tumulate nella Chiesa di San Francesco alle Scale. Dopo la secolarizzazione del tempio avvenuta nel 1864, la sistemazione dell’edificio in ospedale militare portò alla distruzione delle tombe nobiliari in esso contenute. Anche delle sue opere nulla è rimasto e neanche un verso è giunto fino a noi; ma questo ha contribuito, nel tempo, a creare attorno alla sua figura una ulteriore risonanza mitica.
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