Dall'effetto serra al riscaldamento globale, il salto risale ormai all'800 ma con il peggioramento causato dalle «attività umane» sono decenni che la scienza lancia allarmi sui cambiamenti climatici. Allarmi che hanno incontrato scetticismo o che sono stati ignorati perché «business is business» e i Paesi hanno guardato alla propria crescita purchessia, cioè anche inquinando molto, considerando poco le conseguenze per il pianeta.
Ed ecco che a furia di bruciare combustibili fossili nei trasporti, nell'energia, nell'industria, nell'agricoltura siamo arrivati ad una concentrazione di anidride carbonica nell'atmosfera che non è mai stata così alta in due milioni di anni (ha raggiunto 419 parti per milione nel maggio scorso ed era 400 nel 2015), a subire catastrofi naturali, da alluvioni a siccità, da incendi allo scioglimento dei ghiacciai e della calotta polare, senza precedenti. Nessuna area del Pianeta si salva. Guardando in casa nostra, il disastro della recente alluvione di Catania è solo l'ultimo esempio di evento meteo estremo.
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Oggi nel mondo emettiamo 40 miliardi di tonnellate di gas serra all'anno e siamo sulla traiettoria di un aumento medio della temperatura di 3,3 gradi centigradi rispetto ai livelli del 1880, ricorda lo scienziato Sandro Fuzzi, dell'Isac Cnr, che è anche uno degli autori principali del Working group I del panel di esperti dell'Onu (Ipcc).
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Ma c'è ancora uno spazio per abbassare questa febbre, nulla è ancora perduto per fermare il global warming. Ma c'è poco tempo. La soluzione per restare a +1,5 ( il miglior obiettivo stabilito dall'Accordo di Parigi del 2015) gli esperti l'hanno indicata da tempo e aggiornata: un rapido (entro 8 anni ormai) dimezzamento (fino ad azzerarli nel 2050) e su larga scala dei gas serra (Co2, metano e biossido di azoto), quelli che emettiamo ad esempio con mezzi di trasporto inquinanti o usando energia prodotta da carbone e petrolio, che catturano il calore e fanno alzare la temperatura al suolo e degli oceani. Calore che è in parte immagazzinato da foreste e mari ma gli scienziati avvertono sul rischio che «questi serbatoi» potrebbero non farcela più entro il 2100. Sono numeri che si traducono in alluvioni, siccità, incendi, tempeste, con conseguenze sulla nostra vita quotidiana e sul destino di alcune popolazioni (dalle migrazioni a problemi di salute, a scarsità di cibo e di igiene). Ma che possono incidere grandemente sulle economie mondiali, con perdite di diversi punti di Pil a causa dei danni climatici. Tocca ora decidere se rimandare ancora interventi e continuare a rischiare o imprimere una svolta davvero netta che salva il Pianeta.