Dalle foglie di tabacco
farmaci antitumorali

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Giovedì 23 Gennaio 2020, 20:36 - Ultimo aggiornamento: 24 Gennaio, 10:41
La “rivoluzione verde” – in medicina - parte da Anagni. E se la sigaretta viene additata come una delle principali cause di tumore (soprattutto al polmone), proprio dalla pianta di tabacco è nata la prima piattaforma biotecnologica vegetale per la produzione di proteine ad uso terapeutico che sono all’origine di importanti farmaci antitumorali (in particolare contro la leucemia).
Tra un anno inizierà la sperimentazione clinica (ossia lo studio sull’uomo per testarne sicurezza ed efficacia) e nell’arco di 4 anni questi nuovi farmaci potranno essere immessi sul mercato.
«Il progetto, che si basa sui principi dell’immunologia – spiega il dottor Massimiliano Florio, presidente e ad di Spl (Special Product’s Line) - è nato nel 2014 in collaborazione con Lazio Innova ed è stato portato avanti con la partecipazione dell’Università La Sapienza, Enea e Cnr. Il principio è molto semplice: utilizzare delle piantine per realizzare biomolecole per uso umano».
Ma dove è iniziato lo studio?
«Il progetto ha comportato una prima fase di ricerca e sviluppo presso il nostro stabilimento di Anagni. Qui abbiamo messo a punto una serie di coltivazioni in serra, inizialmente di riso e poi di tabacco a cui sono seguiti studi preclinici che ora sono nella fase conclusiva e che, nel giro di un anno, ci consentiranno di avviare la fase clinica».
Ma che tipo di tabacco viene usato?
«Essenzialmente una varietà selezionata chiamata Nicotiana Benthamiana. La pianta, viene “infettata” con un batterio presente in natura, l’ Agrobacterium tumefacens, che ha la specificità di infettare le piante e veicolare il proprio DNA all’interno della pianta stessa. Per questo motivo, il batterio ingegnerizzato con la sequenza di DNA codificante la proteina che si vuole far produrre alla pianta, viene veicolato sulle foglie di tabacco che, dopo qualche giorno , iniziano a produrre l’anticorpo o la proteina di interesse. Le foglie, quindi, vengono raccolte e sottoposte ad una serie di processi di estrazione fino alla purificazione finale della proteina».
Un processo interamente green...
«Esatto. Perché gli scarti di tale processo, le proteine e i metaboliti della pianta e la sua biomassa, sono utilizzabili. Al contrario, le tecniche attuali di produzione di proteine ricombinanti producono scarti, come plastica e materiale biologico, che non possono essere riciclati e pertanto, per essere smaltiti, devono essere ulteriormente trattati chimicamente».
E i costi?
«Sono estremamente convenienti, perchè si aggirano attorno al 50% di quelli sostenuti oggi per gli attuali antitumorali. Il processo di produzione tramite piante è infatti economicamente molto più favorevole rispetto a quello attuale, perché viene fatto tutto “in house”. Non solo, ma la nostra piattaforma vegetale potrà essere utilizzata per produrre anche altri biosimilari, con un impatto molto positivo sulla nostra spesa sanitaria». 
Ed ecco che si è passati dalla produzione di anticorpi attivi contro neoplasie tumorali (come nel caso dell’anticorpo Rituximab, utilizzato per il trattamento di linfomi e la cui indicazione potrebbe essere estesa anche alla sclerosi multipla) e la piattaforma potrà in futuro essere utilizzata alla produzione di vaccini per la prevenzione e cura di malattie infettive quali per citarne alcune la tubercolosi o malattie virali , .
Insomma, da Anagni sta per partire una vera e propria “rivoluzione verde” in campo farmacologico, in cui si usano le piante come bioreattori, ovvero come se fossero delle fabbriche in miniatura. Un percorso coraggioso, condotto da un’azienda che ha investito molto nella ricerca e che iniziò ad operare, in Ciociaria, con 11 dipendenti. Oggi sono più di 300, con oltre 30 ricercatori. E la “rivoluzione verde” – assicurano dal laboratorio della SPL - è solo all’inizio. 
 
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