Covid, il virus vissuto da un medico di famiglia: «Primo, non perdersi nella tempesta»

Covid, il virus vissuto da un medico di famiglia: «Primo, non perdersi nella tempesta»
Covid, il virus vissuto da un medico di famiglia: «Primo, non perdersi nella tempesta»
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Martedì 24 Novembre 2020, 20:00 - Ultimo aggiornamento: 20:03

«A tutti capitano periodi di super-lavoro, ma quello che sta accadendo ai medici (e a me) da alcuni mesi è qualcosa di eccezionale. Non si tratta solo di essere caduti improvvisamente in un incubo ma di viverlo in prima persona e a un livello di frequenza altissima. Vivo il tutto al centro di una grande contraddizione: combatto contro il Sars CoV 2 da un punto di vista consapevole e informato ma al tempo stesso osservo ciò che mi capita dal basso e non dall'alto, dalla trincea che condivido con centinaia di pazienti e contagiati. Quella trincea sta diventando una grande scuola di vita ma il Diario che vorrei condividere è, soprattutto, un concentrato d'esperienza che può essere utile per migliorare la sanità italiana». Inizia così il diario di "Un medico in trincea".

PRIMO: NESSUNO SI PERDA NELLA TEMPESTA

«Innanzitutto mi presento: mi chiamo Maurizio Ridolfi - racconta - Non sono un novellino, faccio il medico di medicina generale da 23 anni e mi sono laureato 32 anni fa. Lavoro in un quartiere interclassista. I miei pazienti hanno tutte le età e ho uno studio - spazioso e ben tenuto, se posso permettermi - insieme ad altri colleghi e con tre segretarie al primo piano di un vecchio palazzo. Tutto quello che scriverò è solo vita vissuta. Vi farà sorridere ma vorrei cominciare raccontandovi che la pandemia ha stravolto la mia vita innanzitutto nel rapporto con i miei amici».

La telefonata

«Come stai?" mi chiedono al telefono con un tono preoccupato che prima non avevo mai sentito. "Le ultime settimane sono state le peggiori di tutta la mia vita professionale" è la risposta. Peggiori, ovviamente, in termini di impegno, di quantità ed intensità lavorativa, di stress, con pause pressoché inesistenti.

Un diapason che non smette mai di vibrare. Sono arrivato a fare dodici ore di studio. E la sera, dopo un boccone veloce perché, sì, spesso sono troppo stanco anche per mangiare, a casa accendo il computer ed inizio a smaltire le 80-100 mail che non ho avuto il tempo di leggere durante la giornata. Arrivo così fino a mezzanotte ed oltre. Le domande che mi fanno sono le più varie: da quella, ripetuta centinaia di volte, sui vaccini anti-influenzali ("Siamo in attesa della seconda fornitura"), a quella dei contatti con soggetti Covid, alla gestione dei tamponi e così via. In mezzo, nelle famose dodici ore di lavoro, tanta richiesta di salute, le vaccinazioni e la gestione dei pazienti positivi, dei risultati dei loro saturimetri (ho consigliato loro di acquistarli) per monitorare come scambiano ossigeno».

Dentro la "trincea"

«Ma anche, come vedremo, i mille problemi per evitare che il virus arrivi fin dentro la trincea dello studio che è un presidio che appartiene a me ma anche a centinaia di pazienti. Ed è questa la prima cosa che il coronavirus mi ha fatto scoprire: oltre a fare il medico, io faccio da mesi i "rassicuratore" nel senso che rassicuro tantissime persone. La gente vuole un punto di riferimento in un momento di grande disorientamento e quello - talvolta mio malgrado - sono diventato io. La tv, i media, raccontano il caso Covid piazzando le telecamere davanti agli ospedali. Un errore di prospettiva gravissimo. Perché quelle sono le retrovie. Importantissime, sia chiaro. Ma il virus si combatte a partire dal territorio e innanzitutto "attraverso" la prima linea dei medici di famiglia. Seguitemi in trincea dove vale una sola legge: mai perdersi».

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