Pandemia, un anno dopo. Gli effetti negativi sugli italiani: ingrassati e psicologicamente più fragili

Pandemia, un anno dopo. Gli effetti negativi sugli italiani: ingrassati e psicologicamente più fragili
Pandemia, un anno dopo. Gli effetti negativi sugli italiani: ingrassati e psicologicamente più fragili
di Francesco Padoa
9 Minuti di Lettura
Martedì 6 Aprile 2021, 09:01 - Ultimo aggiornamento: 13:33

E’ passato un anno, e la pandemia non accenna a lasciarci. Come non ci lasciano, anzi si accentuano sempre di più gli effetti negativi che un anno di chiusure, lockdown, tamponi, vaccini, smartworking, zone colorate, autocertificazioni, cassa integrazione, ristoranti e cinema chiusi, turismo all’anno zero, stanno lasciando sulla popolazione del mondo intero. E quanto ha inciso un anno di pandemia sugli italiani? La Top Doctors, azienda specializzata in servizi tecnologici per la sanità privata, ha provato a rispondere a questo interrogativo effettuando, attraverso la propria community, una “radiografia” dello stato psicofisico degli italiani a un anno esatto dal primo lockdown (il sondaggio è stato condotto tra il 1° e il 15 marzo 2021) evidenziando i principali disagi, fisici e interiori, emersi in questi mesi così difficili. Chi non è stato colpito dal virus direttamente, negli affetti o a livello economico, ha visto comunque stravolta la propria vita in modi che, poco più di un anno fa, erano impossibili da immaginare: concetti come coprifuoco, assembramento, focolaio, asintomatico, distanziamento sociale, DAD sono entrati prepotentemente nella nostra quotidianità, forse modificandola per sempre.

Covid e disturbi alimentari: non solo ragazze, in aumento i maschi. Giovani isolati in lotta con il corpo

A marzo 2020 ci trovavamo a vivere un’emergenza sanitaria inaspettata che, attraverso l’adozione di misure restrittive straordinarie, portò per la prima volta oltre 60 milioni di Italiani in lockdown. Un anno dopo, a marzo 2021, pur con la campagna vaccinale in atto, che apre spiragli di speranza per il futuro prossimo, affrontiamo una situazione sostanzialmente simile: nel pieno della terza ondata, con gli ospedali sotto pressione e buona parte dell’Italia in zona rossa, e dopo aver vissuto, per la seconda volta, le festività di Pasqua in confinamento. La ricerca effettuata dalla Top Doctors rivela, in sintesi, quattro tipologie di conseguenze:
- all’inizio dell’emergenza il sentimento più diffuso era la paura, oggi è la frustrazione: in parallelo aumenta il ricorso al supporto psicologico;
- Tra cibo come conforto, routine sedentaria e difficoltà ad allenarsi, il 39% degli interpellati è ingrassato nell’ultimo anno;
- Il 63% degli smartworker riscontra problematiche legate al trascorrere molte ore al pc in una postazione non idonea. Eppure, solo il 12% si è rivolto a uno specialista;
- Quasi 6 italiani su 10 hanno rimandato esami e visite non strettamente necessari: un aiuto importante arriva dalla telemedicina.

Covid, Lorenzin: «Prepariamoci a combattere una pandemia nascosta: quella della salute mentale»

Ma vediamo nel dettaglio questi aspetti. Dalla paura alla frustrazione: cresce il disagio e il ricorso al supporto psicologico. Nello smarrimento di una realtà completamente nuova, tutti hanno dovuto imparare a fare i conti con l’imprevedibilità della vita e l’impossibilità di fare progetti. Le emozioni nei confronti della situazione attuale sono però, nel corso dei mesi, mutate radicalmente. Se un anno fa i sentimenti principali erano di paura (42%) ma anche speranza che tutto si risolvesse a breve (21%) e accettazione (19%), oggi invece a prevalere sono frustrazione (39%), stanchezza (28%) e rabbia (23%). Questo accumulo di sensazioni negative, ovviamente, ha contribuito ad accrescere malesseri e disagi interiori – spesso affrontati con il supporto di uno psicologo.

Il ricorso a uno specialista è infatti cresciuto del 9%, mentre il 22% ha dichiarato che, pur non essendosi rivolto (ancora) a uno psicologo, ne avrebbe in realtà avuto necessità.

Una situazione confermata dalla dott.ssa Daniela Benedetto, psicoterapeuta presso la Top Doctors. «Sentimenti di frustrazione e di impotenza sono gli aspetti prevalenti che si presentano nei nostri studi a fronte di una richiesta di aiuto da parte delle persone. Infatti, dopo un ingente sforzo da parte di noi tutti nell’esercizio di una profonda resilienza nell'ambito di un contesto di alta vulnerabilità e di emergenza nei primi mesi di pandemia, non c'è stata poi una risposta propositiva per una auspicata visione futura di scenari praticabili e prevedibili. Scenari di emergenza che si ripetono, vaccini insufficienti e continui allarmismi rischiano di alimentare un gioco perverso di pessimismo e sfiducia. Il rischio depressivo si fa ingente non solo tra gli adulti ma anche negli adolescenti per i quali ai genitori è richiesta una capacità di rassicurazione notevole e di normalizzazione dei vissuti emotivi propri dell’età che ora si manifestano nei ragazzi o in una chiusura eccessiva dedicata allo studio o nell’isolamento sui social. Sono altresì in aumento i disturbi del comportamento alimentare tra i giovani (anoressia, bulimia)».

Covid e stress, l'ultima indagine. Sale nelle famiglie: livelli acuti anche nel personale sanitario

Una delle principali cause di disagio è quindi il protrarsi di una situazione inizialmente percepita come destinata a risolversi in un tempo relativamente breve. «È importante far comprendere che lo scenario presente è del tutto atipico e che la reazione disfunzionale del nostro organismo è compatibile ad un vissuto di stato di emergenza. A lungo andare il sistema psicologico e la salute fisica del corpo ne risentono in quanto l’organismo è in un continuo stato di all’erta e non riesce a riprendere il normale stato di funzionamento. Sintomi somatici come quelli ipertensivi o di ansia somatizzata (ad esempio disturbi gastroenterici) ma anche gastroenterici o un abbassamento delle difese immunitarie sono segnali reattivi allo stress prolungato. Quello a cui assistiamo sono sintomatologie proprie del disturbo post traumatico da stress e come tale vanno affrontate e non sottovalutate. Irritabilità, insonnia, apatia, asocialità, confusione, ansia, sensazione di vulnerabilità e altri ancora sono tutti segnali importanti da non trascurare».

Secondo punto: le nuove abitudini alimentari e inattività, 4 persone su 10 sono ingrassate. Ai tempi del primo lockdown, mentre nei supermercati del resto del mondo spariva la carta igienica, in Italia andava a ruba il lievito: per buona parte degli italiani il confinamento è stata un’occasione per cimentarsi ai fornelli e, in generale, complice anche la chiusura di ristoranti e bar, per rivedere le proprie abitudini alimentari. Il 22% degli intervistati dichiara infatti che, nell’ultimo anno, con più tempo per cucinare e senza pause pranzo fuori e aperitivi con gli amici, riesce a seguire un regime più salutare. C’è chi però non è altrettanto attento e coscienzioso: il 19%, infatti, cucina (e mangia) più frequentemente comfort food gustosi e ipercalorici, il 17% si abbuffa più spesso fuori pasto per ingannare stress e noia e il 13% ricorre di frequente all’home delivery. Per colpa delle nuove abitudini alimentari o per lo stile di vita forzatamente sedentario, quasi 4 persone su 10 (39% del campione) dichiarano di essere ingrassate di qualche chilo nell’ultimo anno.

Lockdown duro da accettare e torna la caccia al lievito. Mencacci (psichiatra): non cedere alla solitudine, evitare l'isolamento

A questi, si aggiunge un ulteriore 27% che, pur non avendo preso peso, non si sente al meglio della propria forma fisica, anche per i limiti posti all’allenamento, tra palestre chiuse e corsi sospesi. «Negli studi dei medici di famiglia così come in quelli specialistici è impossibile non notare negli ultimi mesi un cambiamento significativo nei parametri di valutazione dello stato nutrizionale: questa emergenza è attribuibile alle particolari condizioni di vita cui siamo costretti a vivere da ormai 13 mesi - commenta il dietologo Giancarlo Sandri - È aumentata l’incidenza, testimoniata dagli psichiatri, dei disturbi del tipo ansia/depressione che spesso trovano nell’assunzione di cibo e bevande zuccherate un modello di autoterapia. Il confinamento forzato a casa porta poi le persone a cimentarsi nell’arte del cucinare, condivisa sui vari social media. Un’alimentazione troppo calorica provoca sovrappeso e obesità e si sperimenta una obiettiva difficoltà di ottenere una valutazione ed un trattamento medico adeguato a causa della sostanziale inaccessibilità degli ambulatori di dietetica e nutrizione clinica. Complice in tale situazione è la forte riduzione della spesa energetica per la chiusura delle palestre e delle piscine. Un invito pressante va fatto quindi affinché nel limite del possibile le persone svolgano anche un minimo di attività fisica, meglio all’aperto, anche limitata a 150 minuti a settimana raggiunti magari gradualmente anche solo camminando. Ricordiamoci che il sovrappeso e l’obesità sono forti fattori di rischio per malattie del cuore e tumori».

Conseguenza numero tre, l’effetto smartworking: il 63% riscontra, a vari livelli, disagi collegati al telelavoro. La pandemia ha portato alla diffusione su vastissima scala dello smartworking. Dall’oggi al domani, milioni di italiani si sono trovati a doversi ritagliare una postazione di lavoro tra cucina, camera da letto e soggiorno. Soluzioni improvvisate che, ovviamente, mal si sposano con la sicurezza sul lavoro: il 63% degli smartworker interpellati ha infatti riscontrato, a vari livelli, una o più problematiche direttamente collegate alla mansione. In particolare, i disturbi più frequenti sono tensioni alla zona di spalle e collo (34%), mal di testa frequente (29%), occhi lucidi oppure secchi (26%), mal di schiena (22%), pesantezza e gonfiore alle gambe (18%).

Long Covid, lo studio: «Pazienti che hanno più traumi psicologici di quelli dell'11 settembre» `

Tra chi ha riscontrato queste problematiche, il 32% ha dichiarato di limitarsi ad agire sui sintomi con antidolorifici e simili, mentre il 43% ha cercato di migliorare la propria postazione e il 13% si concede di frequente delle pause. Solo il 12% si è rivolto a uno specialista. «I soggetti che frequentemente svolgevano attività sportiva a livello amatoriale e coloro che riuscivano a gestire in maniera ottimale le proprie problematiche, con l'aiuto di personal trainer o fisioterapisti dedicati - osserva il dott. Stefano Astolfi, ortopedico e traumatologo - hanno risentito in maniera particolare di tale mancanza, soprattutto per quanto concerne la diminuzione del tono muscolare con conseguente perdita di quella mobilità articolare che, invece, riuscivano a mantenere con una attività costante. Per tale motivo, ove possibile, converrebbe non interrompere l'attività fisica, svolgendo esercizi "di mantenimento" anche al proprio domicilio, consigliati dallo specialista ortopedico o da un fisioterapista di fiducia. Se poi è presente una sintomatologia dolorosa ingravescente e non gestibile con la terapia farmacologica è opportuno rivolgersi al medico specialista che consiglierà gli eventuali accertamenti da effettuare».

Ultimo e quarto effetto della pandemia: ci si cura di meno, tra paura di recarsi in ospedale e appuntamenti annullati. La paura del contagio e la volontà di non premere ulteriormente su un sistema sanitario già in affanno ha spinto in molti (il 59% del campione) a rimandare, o a non prenotare direttamente, esami e visite non strettamente necessari. Di questi, il 42% continua tuttora a evitare ogni controllo rimandabile, mentre il 17% ha ripreso a fissare appuntamenti, dopo essersi astenuto nei primi mesi dell’emergenza. Ma non tutto dipende dal paziente: un altro problema riscontrato è l’annullamento, per effetto di questa situazione, di visite o interventi programmati: è successo, almeno una volta, al 25% del campione intervistato. «I dati ci mostrano che moltissime persone, per effetto dell’emergenza sanitaria, da ormai un anno a questa parte non stanno effettuando controlli di routine o semplicemente non strettamente necessari. Gli effetti sul lungo termine di questa tendenza possono rivelarsi gravissimi - commenta Alberto Porciani, ceo di Top Doctors - Fin dall’inizio della pandemia la nostra società ha creduto fortemente che la telemedicina potesse rappresentare un valido sostegno per continuare a fornire assistenza ai pazienti non Covid: nel tempo, i dati ci hanno dato ragione. I consulti online sono sempre più richiesti: ovviamente non sono sostituitivi alla visita in studio, ma rappresentano, anche se a distanza, un canale di comunicazione diretto tra medico e paziente».

 

© RIPRODUZIONE RISERVATA