Suicidio, è allarme giovani: record di chiamate degli under 26. Ecco i segnali a cui prestare attenzione (e come aiutare chi è in difficoltà)

Le richieste d’aiuto sono cresciute del 55% rispetto al 2020 e sono quasi quadruplicate rispetto al 2019, prima della pandemia. A preoccupare particolarmente il dato relativo ai giovani under 26. I dati di Telefono Amico

Suicidio, è allarme giovani: ecco i segnali a cui prestare attenzione (e come aiutare chi è in difficoltà)
Suicidio, è allarme giovani: ecco i segnali a cui prestare attenzione (e come aiutare chi è in difficoltà)
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Lunedì 5 Settembre 2022, 14:33 - Ultimo aggiornamento: 7 Settembre, 08:22

Sabato 10 settembre ricorre la Giornata Mondiale di Prevenzione al Suicidio e Telefono Amico Italia tira fuori dei dati veramente allarmanti. Nel 2021 l’organizzazione ha ricevuto la cifra record di quasi 6.000 richieste d’aiuto legate al suicidio, anche i primi dati del 2022 sembrano confermare il trend: nei primi sei mesi dell’anno sono state più di 2.700. Particolare preoccupazione la destano i giovani: sono sempre piu' quelli che si rivolgono all'associazione in cerca di aiuto. Dati che sono lievitati a causa dei lockdown per il Covid. Si stima che al mondo ogni anno, quasi 46.000 bambini e adolescenti tra i 10 e i 19 anni si tolgono la vita, circa uno ogni undici minuti. La neuropsichiatra Gatta: «dalla pandemia più colpita la fascia 12/18 anni. In aumento autolesionismo e disturbi alimentari».

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Prevenzione suicidio, l'importanza dell'ascolto

Quando ci troviamo di fronte a una sofferenza per noi molto grande, spesso pensieri come «Voglio uscire da questa situazione!», «Non ce la faccio più!», «Per cosa vale la pena continuare a vivere?», «La cosa migliore sarebbe non esserci più», «Se non ci fossi, starebbero tutti molto meglio» diventano assillanti nella nostra testa. In un primo momento può sembrare spaventoso e iniziamo a pensare: «Sto impazzendo?», «Cosa mi sta accadendo?», «A cosa porteranno mai questi pensieri?». È normale e comprensibile sentirsi insicuri e non sapere come affrontare il discorso: temiamo di spaventare chi ci ascolta. La parola “suicidio” fa paura. Ma dopo essersi aperti e sfogati, solitamente, ci si sente più sollevati. Parlare aiuta perché serve a far ordine tra i pensieri.

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Come cacciare la solitudine

La maggior parte delle persone che attraversano una crisi esistenziale con pensieri suicidi soffrono anche della solitudine che deriva dalla paura di confidarsi: cercare il dialogo e rompere l’isolamento procura in genere un enorme sollievo e maggiore sicurezza. Spesso, in questo modo, l’insistenza dei pensieri suicidi diminuisce. La prima volta che proviamo a parlarne può essere con una persona che non conosciamo. Se pensiamo che nessuno tra i nostri conoscenti o familiari possa essere la persona più indicata, si può provare con dei volontari. Altrimenti si può provare a individuare una persona di fiducia e che riteniamo in grado di accogliere i nostri momenti di sconforto.

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I dati

Le richieste d’aiuto sono cresciute del 55% rispetto al 2020 e sono quasi quadruplicate rispetto al 2019, prima della pandemia.

A preoccupare particolarmente il dato relativo ai giovani: il 28% delle richieste d’aiuto, arrivate alla linea telefonica o nella chat di WhatsApp di Telefono Amico Italia, è di under 26. E il 2022 non sembra portare miglioramenti: nel primo semestre dell’anno le richieste d’aiuto sono state più di 2.700, il 28% di giovani fino a 25 anni. I dati dell’organizzazione di volontariato, diffusi in occasione della Giornata internazionale per la prevenzione del suicidio, che ricorre il 10 settembre, accendono una luce su un fenomeno spesso trascurato ma che nel mondo è responsabile di circa 800.000 morti1, una ogni 40 secondi.

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L’allarme per i giovani

 «Il suicidio nei più giovani è un fenomeno di grande impatto, anche perché presenta una fattispecie tutta sua, che non necessariamente è sovrapponibile alle problematiche dell’adulto» spiega Maurizio Pompili, Professore Ordinario di Psichiatria presso Sapienza Università di Roma e Direttore della UOC di Psichiatria presso l'Azienda Ospedaliero-Universitaria Sant'Andrea di Roma. «Spesso viene misconosciuto tutto il versante dei segnali d’allarme: solo a posteriori appaiono in maniera nitida quelli che erano segnali anticipatori, ma che erano stati in qualche modo criptati. Si dovrebbe fare attenzione se il soggetto non riesce a seguire le attività scolastiche, non si applica negli sport, è ritirato dagli amici, dagli affetti, ha problematiche somatiche non ben identificabili, fa uso di sostanze in maniera importante. Bisognerebbe, inoltre, cercare di avere l’aiuto, peer to peer, dei compagni. È importante istruire i giovani a riconoscere tra i loro pari la persona che ha bisogno d’aiuto». Con la pandemia la preoccupazione per la salute mentale dei ragazzi è aumentata. Secondo l’Istat, nel 2021 in Italia sono 220mila i ragazzi tra i 14 e i 19 anni insoddisfatti della propria vita e, allo stesso tempo, in una condizione di scarso benessere psicologico4. Se, infatti, i giovanissimi sono stati i meno toccati dagli effetti fisici della pandemia, sono stati però profondamente colpiti dai lockdown e dalle privazioni alla vita quotidiana e sociale che questi hanno comportato. Il 44% dei teenagers, secondo i Centri per la prevenzione e il controllo delle malattie statunitensi, all’inizio del 2021 si sentiva senza speranza e continuamente triste».

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Si aggiunge al professionista anche la professoressa Michela Gatta, Direttrice dell’Unità Operativa di Neuropsichiatria Infantile dell’Azienda Ospedale-Università di Padova: «Molti dei ragazzi che si incontrano, sia in ambito clinico che non, riportano paura del futuro, scarsa propositività e progettualità, timore della solitudine, confusione mentale e difficoltà neuropsicologiche, preoccupazioni per malattie o accadimenti negativi a sé e/o agli altri. In ambito neuropsichiatrico infantile, che si occupa di persone fino ai 18 anni, si è evidenziata come più colpita dalla pandemia la fascia d'età adolescenziale, 12/18 anni, e tra questi ragazzi coloro che già soffrivano di disturbi neuropsichici, specie di natura internalizzante (ad esempio ansia, sindromi affettive, disturbi ad espressione somatica), e coloro il cui ambiente familiare si è manifestato meno resiliente.  «In ambito ospedaliero – conclude la professoressa Gatta – i ricoveri psichiatrici dell'età evolutiva hanno visto un aumento significativo di casi di autolesionismo suicidario e non, e di disturbi del comportamento alimentare».

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L’importanza della prevenzione

«La prevenzione del suicidio è possibile e riguarda tutti – aggiunge il professor Pompili – il primo passo (quella che viene chiamata prevenzione primaria) consiste nel cercare di sensibilizzare tutta la popolazione sul fenomeno e far sì che tutti sappiano cogliere i segnali d’allarme, così da poter riconoscere il soggetto a rischio e agire d’anticipo. L’obiettivo è fornire a tutti una sorta di ABC per riconoscere il soggetto in crisi. Un po’ come quando notiamo degli elementi salienti di una patologia fisica imminente e, quindi, portiamo al pronto soccorso una persona, sappiamo come soccorrerla. Così dovrebbe essere anche in caso di rischio di suicidio».

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I segnali a cui prestare attenzione

 Ma a quali segnali prestare attenzione? «Alle verbalizzazioni – spiega Maurizio Pompili – frasi come “a che serve vivere”, “non ce la faccio più”; all’alterazione delle abitudini, ad esempio quelle del sonno (sonno disturbato, insonnia o ipersonnia); all’aumento del consumo d’alcool. O ancora il soggetto può ritirarsi dagli amici e dagli affetti, cimentarsi in attività rischiose, fare una sorta di testamento (regalare oggetti a lui cari, dare via cose a cui è molto legato). Infine, bisogna prestare attenzione ai cambiamenti d’umore: se un soggetto precedentemente angosciato appare improvvisamente risollevato, come se avesse risolto i suoi problemi dall’oggi al domani, potrebbe aver preso la decisione di suicidarsi. Ha capito come risolvere il suo problema nel modo più estremo». «Quando si notano questi segnali – aggiunge il professor Pompili – bisognerebbe avvicinarsi in maniera molto empatica al soggetto, non lasciarlo solo e portarlo all’attenzione di un operatore della salute mentale. È importante tenere a mente che chi si toglie la vita non vuole morire. Vorrebbe vivere, a patto che si riduca il livello di sofferenza che si trova a sperimentare. Il suicidio è visto come la migliore via di uscita di questo dolore, laddove tutte le altre soluzioni hanno fallito. Riducendo, quindi, questo dolore possiamo aiutarle a salvarsi».

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Tutti possiamo dare una mano

 Sei hai la sensazione che un amico o un familiare possa avere pensieri legati al suicidio, non sottovalutare la cosa, anzi, se possibile, cerca di affrontare la questione. È sbagliato ritenere che parlare dell’argomento con qualcuno animato da intenzioni suicide lo porti poi a togliersi davvero la vita. Diverse persone sopravvissute a tentativi di suicidio riferiscono che mancava loro qualcuno che «semplicemente le stesse ad ascoltare». Prestare ascolto non è però così semplice. Può essere utile approcciare la persona che ha bisogno di sfogarsi con l’atteggiamento di chi desidera capire cosa pensa, astenendosi, per quanto possibile, dal formulare giudizi. È importante sapere che difficilmente si riuscirà a risolvere i problemi di chi ci sta di fronte e che non si è tenuti a farlo, ma già solo il fatto di essere compresa e ascoltata dà sollievo alla persona in difficoltà. I pensieri legati al suicidio vanno accolti con la massima cautela possibile.

Segui questi consigli per poter affrontare meglio una situazione di questo tipo: Non giudicare mai i pensieri dell’altro, non sminuirli, non far sentire l’altro anormale perché li ha. Prenditi e concedi tutto il tempo che vi serve per poter dialogare, quindi, se in un determinato momento non puoi, fai sapere al tuo interlocutore che ci potrai essere in un altro momento. Dagli un altro appuntamento certo e dedicati al suo ascolto. Mentre lo ascolti concentrati sul suo sentito, non sui fatti cercando a tutti i costi di trovare una soluzione. Molto spesso una soluzione non c’è. Ciò che gli/le è successo a te può sembrare di poca importanza rispetto alla sua decisione di farla finita, ma è quello che sente che lo/la porta a volere morire. Se riuscirai ad entrare in empatia con il suo sentito, vedrai che riuscirà ad aprirsi, perché non si sentirà giudicato né sentirà che stai sminuendo ciò che prova. Solo quando si sarà finalmente confidato, allora potrete provare a trovare insieme una strada da percorrere. Se non riesci a sopportare il peso di un dialogo a sfondo suicidario chiedi a tua volta aiuto a qualcun altro. Il dialogo è la via più concreta per poter iniziare ad aiutare chi vede la vita come un peso. 

 

L’evento di sensibilizzazione

In occasione della Giornata internazionale per la prevenzione del suicidio – sabato 10 settembre – grazie al supporto dei centri locali distribuiti su tutto il territorio nazionale Telefono Amico Italia organizza in 16 piazze italiane l’evento di sensibilizzazione “Non parlarne è 1 suicidio”. In occasione dell’iniziativa i volontari dell’organizzazione incontreranno i cittadini invitandoli a scattare una fotografia all’interno di una speciale cornice e a condividerla, per lanciare il proprio messaggio di prevenzione da una piazza reale a quella virtuale dei social network.

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