Varianti, dalla Alfa alla Delta: ecco tutte le mutazioni del Covid. Il virologo Portella: «La Kappa presto dilagherà»

Varianti, dalla Alfa alla Delta: ecco tutte le mutazioni del Covid. Il virologo Portella: «La Kappa presto dilagherà»
di Maria Pirro
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Giovedì 8 Luglio 2021, 06:00 - Ultimo aggiornamento: 19 Febbraio, 21:46

Eccolo, l’alfabeto delle varianti. Lo compone Giuseppe Portella, professore ordinario e direttore del laboratorio di virologia del Policlinico Federico II di Napoli. L’esperto seleziona i tamponi per individuare le mutazioni del SarsCoV-2: così ne ha scoperta anche una mai descritta.

A come Alfa.

«Identificata nel Regno Unito, è la forma più contagiosa.

Difatti, detiene il primato assoluto di infezioni e continua a essere prevalente in Italia, ma si registrano meno casi».

B sta per Beta.

«Si tratta del ceppo individuato in Sud Africa che potrebbe sfuggire, in parte, agli anticorpi monoclonali usati nelle terapie e ai vaccini».

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C rimanda alla “California”.

«Che ha una mutazione in comune con la variante Delta».

Veniamo alla D. Qual è la differenza con la variante Delta?

«La “Delta” mostra tre cambiamenti chiave nella sequenza del genoma che codifica la proteina Spike: quella già presente nel ceppo California con un’altra mutazione conferisce resistenza agli anticorpi monoclonali; l’altra incrementa la produzione delle particelle virali e le possibilità di contagio».

Poi c’è la variante Gamma.

«Originaria del Brasile, può essere più contagiosa e determinare il rischio di reinfezione, perché riesce a eludere gli anticorpi generati dai vaccini. Ma i casi sono stabili: intorno al 7% in Italia».

E la variante Kappa?

«È simile alla “Delta”. Da maggio a oggi, le varianti indiane sono passate dal 4 al 20% di incidenza sul totale: presto diventeranno prevalenti, come nel Regno Unito. E c’è già un’altra forma in circolazione».

Quale?

«Nello Stato federato del Gujarat una variante con tre diverse mutazioni: la T478K che al virus può consentire di sfuggire agli anticorpi; la L452R, presente in altri ceppi già studiati, Iota ed Epsilon; la E484K tipica delle varianti Eta, Zeta, P.1 (detta brasiliana) e Beta (sudafricana)».

Si chiamano varianti perché modificano la sequenza del genoma. In che modo?

«Anche la sostituzione di un solo amminoacido, che va a comporre le proteine virali, può influenzare il decorso della malattia e i contagi».

Analizzare i codici genetici del virus aiuta a prevedere l’andamento della pandemia?

«I dati forniscono indicazioni epidemiologiche. Ma, per stabilire se una nuova variante sfugge agli anticorpi ed è più contagiosa, servono anche indagini di laboratorio, in vitro».

In che modo lei sceglie i campioni da sequenziare?

«All’inizio, in base a comportamenti clinici particolari o provenienze geografiche. Poi è stato necessario incrementare l’attività per esigenze epidemiologiche. La Campania ha un programma finanziato dalla Regione che ha portato a inserire quasi 20mila sequenze nella banca dati Gisaid, circa la metà di tutte in Italia».

Tra queste, c’è la variante Corradina. La sua scoperta.

«Isolata con i colleghi della Federico II in una paziente immunodepressa per mesi positiva al virus. Ha una modifica nel gene ORF3 e la sua osservazione può permettere di migliorare la gestione dell’infezione nei più fragili, che guariscono con difficoltà».

 

Perché chiamarla così?

«Da Corrado di Svevia, ultimo discendente di Federico II, per la tragica fine. A 16 anni».

Lei ha anche isolato, per la prima volta in Italia, la variante nigeriana.

«Grazie a un lavoro di squadra. La variante, ora definita Eta, è responsabile dell’1,2% dei contagi».

Ce ne sono altre in circolazione?

«Così tante da rendere indispensabile la classificazione in tre gruppi a seconda dell’impatto».

Perché alcune si diffondono e altre no?

«Tutte rappresentano tentativi di adattamento del virus, solo alcune hanno le caratteristiche per imporsi».

I vaccini restano efficaci?

«Evitano comunque la malattia in forma grave». Ma sempre nuove varianti sembrano aggiungersi all’alfabeto. «Rallentare la circolazione del virus con il vaccino, vuol dire ridurre le probabilità che si generino altre mutazioni».

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