Oculistica, la terapia genica salva gli occhi a rischio cecità

Oculistica, la terapia genica salva gli occhi a rischio cecità
di Maria Pirro
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Giovedì 8 Aprile 2021, 06:00 - Ultimo aggiornamento: 18 Febbraio, 19:26

Alessia ha imparato a leggere al buio. Con il metodo Braille. All’età di 5 anni, quando rischiava di perdere la vista. Quattro anni dopo, la bambina riesce a scrivere senza dover più puntare una lampada sul foglio. Utilizza ancora una lente di ingrandimento, di tipo elettronico, ma è più autonoma nello studio e nei movimenti. Sale e scende le scale da sola. Corre. E, soprattutto, la sua malattia non progredisce. Grazie alla terapia genica. Le è stata somministrata il 4 dicembre 2019, prima all’occhio sinistro, e i miglioramenti, già evidenti a distanza di due settimane dall’intervento, appaiono stabili. «Confermati dall’ultimo controllo, il 18 marzo scorso», tira un sospiro di sollievo suo padre Antonio Piancone, avvocato, dal 2013 habitué ai congressi della società scientifica di oftalmologia. «Nel tentativo di trovare una cura anti-cecità». Difatti, sua figlia è una «pioniera», la paziente più piccola: con un altro bambino pugliese, è stata operata al Policlinico Vanvitelli di Napoli. E, da una settimana, altri bimbi e adulti, colpiti da una rara distrofia retinica, vengono chiamati per la chirurgia: 10 sono in lista quest’anno, 60 casi all’esame in tutta Italia perché non tutti possono essere trattati, è necessario ci siano cellule visive vitali per ottenere i risultati. Ma, adesso, c’è il via libera: l’Ateneo partenopeo e il Careggi di Firenze sono autorizzati a somministrare Luxturna, la terapia genica di Novartis.

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IL FARMACO

Il trattamento, richiesto anche dal Gemelli di Roma, è rimborsato e autorizzato dall’Aifa, l’agenzia italiana del farmaco, che ha stanziato 21 milioni per le cure innovative.

Così voretigene neparvovec, questo il principio attivo del medicinale, rappresenta una speranza per quanti, sin dall’infanzia, sono afflitti da distrofie retiniche ereditarie determinate dalle mutazioni bialleliche del gene RPE65. E, dal primo febbraio, la diagnosi è più rapida: si può eseguire il test genico direttamente nella struttura, grazie a Novartis, ottenendo l’esito in 21 giorni anziché dopo 12-16 mesi necessari nei centri convenzionati.

LA RICERCA

Non solo. Per restituire la vista a pazienti affetti da amaurosi congenita di Leber tipo 10, una nuova terapia viene sperimentata al Policlinico: due i bimbi in lista; una ragazza toscana e un ragazzo calabrese sono stati già sottoposti al trattamento. «La peculiarità è che si utilizza l’Rna messaggero “Sepofarsen” per correggere una mutazione all’interno del gene CEP290. La tecnologia è simile a quella usata per alcuni vaccini anti-Covid, basta una puntura, ovviamente nell’occhio, non serve più la chirurgia», spiega Francesca Simonelli, ordinario di Oftalmologia e direttrice della Clinica oculistica. «Un’eccellenza di livello internazionale», la definisce il rettore Gianfranco Nicoletti, ricordando la collaborazione con Tigem, l’istituto Telethon di genetica e medicina, anche per cercare di bloccare la degenerazione maculare senile atrofica e la malattia di Stargart. «Coniugando ricerca e tecniche innovative», aggiunge il manager Antonio Giordano, «l’obiettivo è migliorare la vita dei cittadini». Tant’è che Alessia supera gli ostacoli e domanda al suo papà: «Da grande, potrò guidare l’auto?». 

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