Possono essere spietati, manipolatori, distruttivi nei confronti dell’altro perché sono insensibili alle sue sofferenze.
Gridano e sbraitano, ma negano di essere arrabbiati. Vogliono apparire razionali. Curano il corpo e l’immagine, però tendono ad abbassare lo sguardo. Grandi seduttori, a letto si comportano da dominatori, anche se non si sentono mai sessualmente appagati. Avari nei sentimenti, a volte diventano sadici: si sottraggono sul più bello. Fanno solo danni, soprattutto a chi gli sta accanto. E, a giudicare dai casi patologici riportati dalla Società psicoanalitica italiana, il fenomeno non è, come pensano in molti, solo maschile. Ma decisamente in accelerazione. Narcisista: è l’accusa ricorrente dovuta alle difficoltà che si incontrano nell’instaurare relazioni profonde. Il male forse più diffuso e allarmante.
I PROFILI
Un atteggiamento diventato patologico che ha radici antichissime: nel mito narrato da Ovidio, il giovane cacciatore rifiuta Eco e viene punito dalla dea Nemesi, che lo fa innamorare della propria immagine riflessa in una fonte. Consumato dalla vana passione, oggi è anche chi è ossessionato dalle performance sul lavoro, sfrutta i propri collaboratori e si vanta di averli manovrati. In famiglia il narcisista si riconosce, invece, perché non si preoccupa degli stati d’animo dei figli, tende a demolire i loro amici, vuole apparire più buono e permissivo del partner. «Nella società è specchio della solitudine in cui viviamo, amplificata dai social e dagli smartphone», ragiona Sarantis Thanopulos, presidente della Società psicoanalitica italiana che ha appena riunito 500 specialisti a Napoli con l’obiettivo di mettere a fuoco una serie di storie come spunto di analisi. «Queste situazioni, però, vanno distinte dal narcisismo benigno che consiste nell’amor proprio ed è alla base anche della capacità di dimostrare affetto agli altri», precisa. Il primo test è alla nascita, nella relazione che si instaura tra madre e figlio. «L’attenzione che la mamma rivolge al bambino in cui si rivede rappresenta una forma di protezione, ma c’è un momento in cui deve rinunciare a sentirsi tutt’uno con la sua creatura». Altrimenti il rapporto diventa un limite potente, spinge a non costruirne di nuovi. «Io ho lottato per spezzare questa catena», ammette Cristina Comencini, che, come regista, ha poi ampliato la riflessione, ed è stata tra i relatori del congresso. «Dopo il “corpo a corpo” dell’infanzia, ciascuno deve impegnarsi a stabilire una distanza ottimale tra sé e gli altri, individuando le differenze come valore», afferma Laura Ambrosiano, segretario scientifico del centro milanese di psicoanalisi Cesare Musatti.
L’EROS
Da Freud in poi è chiaro che i legami familiari condizionano anche l’eros: quello di tipo narcisistico porta a una inibizione forte nei confronti del coinvolgimento sessuale vero, l’eccitazione diventa solo continua ricerca di sollievo. «La frustrazione cronica del desiderio crea un’ulteriore tensione e una perenne fame di godimento, ispira relazioni prigioniere della “frigidità”: quella femminile e quella più invisibile, maschile, mascherata dall’eiaculazione». Per Thanopulos, l’estrema difficoltà e l’impotenza nel lasciarsi andare può portare anche a rinnegare la propria identità biologica, e una manipolazione del fisico si ha anche con la chirurgia estetica e i tatuaggi che sostituiscono la “frontiera di contatto”, pelle a pelle. «La superficie finisce per nascondere l’interiorità», aggiunge. «Ma il punto essenziale resta comprendere quale paura spinge a comportarsi così: solo quella di non essere accettati?», domanda lo psichiatra Giuseppe Civitarese.
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