Body neutrality, l'imprenditrice e modella Laura Brioschi: «La grassofobia è ovunque. Bisogna cambiare il modo di esprimersi»

Amy Pence-Brown si definisce «una grassa madre femminista che crede nell aprire la bocca e il cuore». Attivista per l accettazione di sé, ricrea le pose di Hilda, celebre pin up dalle forme opulente nata dalla matita di Duane Bryers
Amy Pence-Brown si definisce «una grassa madre femminista che crede nell’aprire la bocca e il cuore». Attivista per l’accettazione di sé, ricrea le pose di Hilda, celebre pin up dalle forme opulente nata dalla matita di Duane Bryers
di Valeria Arnaldi
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Giovedì 12 Maggio 2022, 06:00 - Ultimo aggiornamento: 08:34

Il body shaming, che giudica, condanna, deride chi ha un aspetto che non risponde a determinati canoni.

In risposta, la body positivity, che contrasta gli stereotipi, invita ad accettare il proprio corpo, elimina l’idea stessa di canone, che rimanda alla schiavitù di un modello - unico - di bellezza. Poi, la body neutrality, che invita a guardare oltre, abbandonando le catene di una visione estetica del fisico per concentrarsi sulla sua funzione, svincolandosi così dal peso di “apparire”. Offeso, maltrattato, esposto, il corpo è sempre al centro del dibattito. E, dopo le lotte degli ultimi anni, che, specie nel rapporto con il cibo, non di rado hanno visto anche sdoganare atteggiamenti estremi, pericolosi per la salute, oggi, il traguardo è l’armonia, ossia la capacità di unire il benessere fisico a quello mentale, con l’accettazione di sé. Non un obiettivo semplice da raggiungere, perché la rispondenza estetica a un canone prefissato, da molti, è ancora considerata una virtù, perfino un talento. Di più una regola.

EVOLUZIONE

Lo sa bene Laura Brioschi, classe 1989, modella e imprenditrice con una linea fashion inclusiva, tra le principali esponenti italiane della body positivity e ambassador della campagna di Qvc Italia “Uniche nessuna esclusa”, «un invito - spiega - per tutte le donne a superare i pregiudizi e gli stereotipi che a volte la società o noi stessi ci imponiamo e che possono diventare ostacoli nel perseguimento dei propri obiettivi». Il suo iter è iniziato anni fa. Nel 2015 ha avviato il blog lovecurvy.com, poi un profilo Instagram che vanta oltre 500mila follower e, nel 2019, ha istituito con il compagno la no-profit Body Positive Catwalk, con flash mob che hanno portato centinaia di donne e uomini a svestirsi in piazza per liberarsi dai pregiudizi. E così ha dato vita al movimento body positive più grande d’Europa. «Body positivity per me significa soprattutto rispetto per sé stessi e degli altri e cercare di non giudicare. Non solo: anche farsi portavoce di chi non riesce ad avere dei diritti a causa delle proprie caratteristiche fisiche. Si dice che la body positivity derivi dalla fat acceptance ed evolva poi nella body neutrality, penso sia corretto», afferma. Brioschi è approdata a tale visione dopo un percorso personale, che l’ha vista scontrarsi, più volte, con l’idea di bellezza cui, più o meno consapevolmente, veniamo educati. «Cercavo di far fronte alla grassofobia che prendeva anche me. Pensavo sempre che più magra sarei stata meglio che la magrezza fosse una qualità». Ha cominciato a preoccuparsi del peso già a sette anni. «Se analizziamo i dati, è proprio a sei-sette anni che spesso iniziano i primi sintomi di disturbi alimentari. Il rapporto di bimbi e bimbe con l’alimentazione e il cibo, con il corpo, spesso è conflittuale. Questo, a causa di una cultura della dieta che ci ha portati a dare all’aspetto estetico un valore morale. Io già a sette anni, pensavo che sarei dovuta essere diversa».

IL NODO

Cresciuta, il lavoro come modella curvy, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, non ha aiutato. «Essere una modella curvy non significa che tutti ti ameranno così come sei e che tu riuscirai a trovare la tua consapevolezza, l’amore e il rispetto per te stessa. Fare la modella curvy, come la “regular” è molto faticoso. È un lavoro dove sei in continuo confronto con colleghe, altri, corpi. Ho scoperto che anche le aziende curvy o plus size possono essere grassofobiche. E non mi stupisce, la grassofobia è ovunque nella nostra società». Per inseguire un ideale, si può arrivare a mettere a rischio la salute. «Come racconto nel mio libro Noi siamo luce, sono uscita dalla fase acuta della bulimia, dopo essere stata molto male. Pur di mantenere il peso basso che avevo raggiunto, stavo rischiando di procurarmi un’ulcera all’esofago, non poter avere più figli, portare con me la malattia per tutta la vita. La seconda fase è arrivata molti anni dopo, con l’aiuto della psicologa. Solo scoprendo la mindfulness, l’intuitive eating, la mia mente è riuscita davvero a destrutturare la diet culture». Oggi si impegna per aiutare chi vuole fare il suo iter. Perché guarire dall’ossessione dei canoni estetici è tutt’altro che semplice. «Liberarsi da pregiudizi e canoni è un continuo allenamento. La nostra mente è stata spinta per anni a pensare le cose in un certo modo, dunque per liberarsi da tali schemi occorre un allenamento costante». Un ruolo importante lo gioca anche il linguaggio. «L’uso delle parole crea spesso dei trigger - dichiara - Ad esempio, “grasso”, “grassa”, può fare male. Credo sia giusto che si impieghino le parole anche in modo neutro, perché sono neutre, come i corpi. Ma in taluni casi, come quando si è in fase evolutiva, il termine può ferire. Non dobbiamo essere obbligati a usarlo o sentirlo. La differenza la fa l’atteggiamento con cui si usa. Sta a noi singoli impegnarci a togliere dal termine, come da molti altri, significato negativo e stigma». Cambiare l’accezione delle parole come primo passo per mutare lo sguardo. Anche allo specchio.

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