I "coronnials", gli adolescenti del lockdown. Ammaniti: «Aiutiamoli a dare un senso al vuoto»

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di Carla Massi
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Giovedì 14 Gennaio 2021, 06:00 - Ultimo aggiornamento: 12 Maggio, 15:54

Va controcorrente e dice che il 2020 non è stato un anno sprecato. Convinzione, senza esitazioni, del 46% degli adolescenti presi a campione dall’indagine Ipsos per Save the Children “I giovani ai tempi del Coronavirus”. Massimo Ammaniti, ottantenne maestro della Neuropsichiatria infantile, offre una lettura di questi ultimi mesi che va oltre tutte le difficoltà che i ragazzi hanno dovuto affrontare. Dalla chiusura delle scuole alle lezioni in casa, dalla negazione degli incontri al viaggiare. Al desiderio di buttarsi e rischiare. Anche di amare. Sono delle autentiche mutilazioni emotive, delle deprivazioni sociali che fanno dire ai ragazzi intervistati per l’indagine di essere «incerti, stanchi e preoccupati». In qualche modo, congelati nella loro evoluzione proprio nel momento in cui la trasformazione, normalmente, ti fa diventare più partecipe a tutte le manifestazioni (e opportunità) della vita. I bambini sono i “grandi dimenticati” come sostiene Ammaniti e gli adolescenti, oltre ad essere stati anche dimenticati, si ritrovano oggi frenati nella loro sana mutazione.

Sono passati più di dieci mesi da quando è iniziata l’emergenza con scuole chiuse, distanziamento e nuove regole sociali, come vive e vivrà questa generazione?

«Si è verificata fra i ragazzi una strana reazione che definirei “effetto gregge psicologico”. In casa gli adolescenti passano gran parte del tempo chiusi nella loro stanza, da cui escono solo per mangiare. A volte si riempiono il piatto e poi ritornano subito lì. E, quando si lanciano all’esterno, vogliono recuperare quello che hanno perso. Cercano sensazioni forti, magari con alcol e droga. Molto importanti, per questo, sono la presenza e l’attenzione dei genitori. Sono comunque certo che i Coronnials ce la faranno».

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I ragazzi parlano del 2020 come di un anno perso, lei non è convinto. Vero?

«Per superare al meglio gli ostacoli e gli effetti di questi mesi difficili bisogna aiutarli a capire, se non l’hanno capito da soli, quali sono state le scoperte che la pandemia ci ha permesso di fare.

Ovviamente oltre tutti i drammi che conoscono e la mancanza fondamentale della scuola».

Sembra molto complicato oggi riuscire ad illuminare scorci positivi. Solo un adolescente su quattro pensa che si riuscirà a tornare come eravamo.

«Prima di desiderare il passato, i ragazzi dovrebbero rendersi conto di quante cose si davano per scontate e non se ne valutava l’importanza per il nostro benessere. Basta ricordare gli incontri con gli amici, una gita, le chiacchiere all’uscita della scuola. Oggi, gli adolescenti come gli adulti, sono più consapevoli e più colpiti dalle ristrettezze imposte. Considero questo sapere un vero guadagno».

Si dicono stanchi e preoccupati, come poterli aiutare?

«La deprivazione subita è stata ed è molto pesante da sopportare. Come è difficile questo faccia a faccia con la consapevolezza della nostra vulnerabilità. Inevitabilmente devono fare i conti con il clima di paura e la perdita di autonomia. Si aiutano facendo in modo che si rendano conto di tutto questo».

A sentire le sue parole sembra facile, pensa davvero che i giovanissimi accettino di dare questa lettura alla realtà?

«È opportuno che imparino a vedere anche questo aspetto della realtà che stiamo vivendo. Si deve lavorare sul riconoscimento di quello che si aveva. Sulla fragilità, sul prendere cura di noi e degli altri».

In uno dei suoi ultimi libri, “Adolescenti senza tempo” descrive una generazione in cui la transizione dall’infanzia sembra non terminare mai. E dei genitori parla come di adulti spaesati che oscillano tra complicità e assenza. Ora tutto si confonde nell’emergenza?

«Va sempre ricordato che lo sviluppo dell’identità personale è la motivazione centrale degli adolescenti che si pongono costantemente interrogativi. Inoltre, sempre più, l’identità personale a questa età si intreccia con le valutazioni dei coetanei che esercitano un’influenza determinante sulla percezione del sé. Come è stato messo in luce da recenti ricerche neurolobiologiche».

Quali effetti possono aver scaturito la paura diffusa e la perdita di autonomia da pandemia?

«Vediamo che i riflessi psicologici sui ragazzi sono molti, con differenti reazioni. Una novità, per gli adolescenti di oggi, è la noia. La maggior parte non l’aveva mai sperimentata e, quindi, non ci sa fare i conti. E poi direi rabbia, risentimento, senso di inutilità, incredulità nel sentirsi accusati di diffondere il virus. Spesso voglia di assecondare questa condizione di stallo. Fisica e psichica».

Una delle principali vittime di questa situazione sembra essere il sonno. Interruzioni continue, difficoltà ad addormentarsi come sfasamento degli orari tipo jet lag? È vero?

«Il disturbo è molto diffuso, dall’inizio della pandemia ha avuto una crescita importante. Va monitorato. La difficoltà a rilassarsi la riconosciamo in molti bambini e in molti ragazzi. Questi, fino a notte fonda, restano con gli occhi sbarrati a chattare. Un’abitudine che sicuramente ostacola il sonno e la concentrazione per lo studio o altro il giorno dopo».

Lei crede che le relazioni virtuali di oggi, nel prossimo futuro, saranno ridotte e gli adolescenti torneranno a desiderare di vedersi?

«Sicuramente tutto si ridurrà. Certo che la socialità scolastica, come quella sportiva, sarebbe di grande aiuto. Ora la formazione, ricordiamolo, è bloccata senza incontrare gli amici e il mondo esterno con regolarità».

Ha citato la noia come “guadagno” di questo periodo per i più giovani. Che vuol dire?

«La noia è un’emozione del passato e non del presente. Anche i ragazzi non permettono alla noia di avvicinarsi. Le generazioni passate, invece, possono raccontare bene che cosa è e, soprattutto, che tipo di stimolo è».

La deprivazione da emergenza Covid-19 come stimolo per chi ha tra i 14 e i 18 anni?

«La sperimentazione del vuoto è importante e formativa. Una volta, finita la scuola a giugno, ci si annoiava e, in quella situazione, nascevano nuove idee. Nuove strade da andare a conoscere. Il cervello ha uno straordinario bisogno di stimoli per maturare e crescere. Questo devono capirlo e farne tesoro».

Possiamo arrivare a dire che, sotto alcuni aspetti, questo 2020 è stato un anno che ha lasciato qualcosa di buono ai più giovani nonostante tutto?

«Se si sarà capaci di fare un’analisi completa della situazione, valutando anche i nuovi stimoli per la formazione, potremo dire che non è stato un anno sprecato». 

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