Davide Dalpane, 19 anni: «Grazie al braccio bionico diventerò professore di educazione fisica»

Il ragazzo di Lugo ha perso l'arto in un incidente di moto

Davide Dalpane, 19 anni: «Grazie al braccio bionico diventerò professore di educazione fisica»
di Valentina Arcovio
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Giovedì 9 Febbraio 2023, 06:00 - Ultimo aggiornamento: 07:40

In braccio nuovo di zecca, una nuova vita. Davide Dalpane, 19 anni, di Lugo, nel Ravennate, è più che pronto e felice di potersi riappropriare della quotidianità.

E anzi, di progettare un futuro da professore di educazione fisica grazie a un braccio bionico. È dall’estate del 2020 che sognava questo momento, da quando a soli 16 anni ha subito l’amputazione di un braccio per via di un incidente in moto. È stata dura, ma non è mai rimasto solo. «Ho avuto la fortuna di avere amici che sono venuti a vivere con me», racconta Davide. «Un mese in cui mi hanno aiutato a fare tutto», aggiunge.

LA PROCEDURA

 Da allora la sua «nuova» vita ha iniziato a prendere una forma diversa rispetto al passato. «Prima dell’incidente giocavo a pallavolo, passione che è proseguita giocando a sitting volley, la pallavolo paralimpica», racconta. Poi la proposta che gli ha cambiato la vita. «Quando sono andato ad informarmi per una protesi estetica - racconta - mi hanno suggerito di provare una protesi bionica che richiedeva però un intervento». La procedura è piuttosto innovativa: si basa su una tecnica neurochirurgica, la Tmr, che prevede la re-innervazione dei muscoli target per innesto di protesi, che consente di aggirare la memoria del cervello per controllare l’arto artificiale. Pioniere nazionale di questa tecnica è il neurochirurgo Guido Staffa, del Maria Cecilia Hospital di Cotignola, clinica accreditata con il Sistema sanitario nazionale. Negli ultimi quattro anni nel nostro Paese sono stati eseguiti sette interventi di Tmr, tutti dal team di Staffa. Nel mondo gli interventi simili sono finora stati una cinquantina. «La funzione della Tmr è creare i presupposti per l’impianto protesico», spiega Staffa.

L’OSTACOLO

 «Anni fa ho fatto parte di un gruppo di studio sugli amputati: le protesi elettriche impiantate – continua il professor Staffa - non venivano utilizzate bene dai pazienti in quanto per eseguire il movimento si devono contrarre muscoli che sono tuttavia deputati a movimenti diversi.

Il nostro cervello si rifiuta di usare movimenti diversi da quelli per cui è stato progettato. Da qui l’idea di impiantare i nervi della parte residua all’amputazione, ovvero quelli che rimanevano nel moncone, su questi muscoli per ottenerne l’attivazione. Si aggira così il limite umano». In pratica, l’intervento consiste nel collegare i nervi che controllavano la funzione dell’arto perso con muscoli della regione della spalla-petto. Questi muscoli target funzioneranno poi come amplificatore di segnale per gli elettrodi della protesi. Due i principali scopi della Tmr: trattare il dolore cronico, la cosiddetta sindrome dell’arto fantasma che troppo spesso limita la qualità di vita degli amputati, e porre le basi neuro-muscolari per l’impianto della protesi. In generale, si stima che siano oltre tremila ogni anno i casi di amputazione di un arto superiore in Italia a causa di patologie o per eventi traumatici.

LA PREPARAZIONE

Usare una protesi è un lungo percorso di preparazione e riabilitazione, che consente al paziente di imparare a usare l’arto artificiale. Spesso è necessario anche un intervento chirurgico per creare nuovi «collegamenti» neuro-muscolari adeguati. La tecnica Tmr serve proprio a questo scopo. Ma sembra funzionare molto bene. O almeno è stato così per Davide. «Dopo soli 6 mesi di riabilitazione - riferisce il giovane paziente romagnolo - riuscivo già ad usarla. Grazie a questa protesi riesco a fare molte più cose sia in casa, in cucina soprattutto, sia fuori ad esempio per andare a fare la spesa e tenere in mano oggetti». Ora, a un anno di distanza dall’intervento, le cose sono migliorare ancora di più. «Adesso vivo a Verona con la mia morosa - racconta Davide, finalmente sereno - Prima dell’incidente volevo fare il poliziotto, ma adesso potrei fare solo la parte del lavoro di ufficio. Quindi ho preferito scegliere una carriera diversa. Per questo ho intrapreso gli studi per diventare professore di educazione fisica. L’obiettivo è quello di dimostrare che la disabilità non deve essere un limite». 

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