Alzheimer, protagonista al cinema e nella musica: così lo spettacolo aiuta a vincere le paure

L’interpretazione di Valerio Aprea nella serie “A casa tutti bene”: «Mi sono ispirato a mio padre. Possiamo pensare al problema in modo meno irrazionale».

Valerio Aprea in una scena della serie tv "A casa tutti bene"
Valerio Aprea in una scena della serie tv "A casa tutti bene"
di Gloria Satta
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Giovedì 11 Maggio 2023, 06:00 - Ultimo aggiornamento: 18 Maggio, 14:50

Cinema, fiction, musica: anche lo spettacolo si è spesso accostato al dramma dell’Alzheimer con attenzione, rispetto, sensibilità.

Tra i film più toccanti che hanno raccontato la malattia spicca Amour di Michale Heneke, Palma d’oro a Cannes e Oscar 2012, protagonista Jean-Louis Trintignant che prende una decisione estrema quando la moglie perde le facoltà cognitive. Nel 2014 è stata invece Julianne Moore a vincere la statuetta per il ruolo di una docente universitaria colpita da Alzheimer in Still Alice. E ancora un Oscar, il suo secondo, è andato nel 2020 a Anthony Hopkins che in The Father - niente è come sembra, lo sconvolgente film di Florian Zeller, interpreta un anziano in preda alla demenza senile e dolorosamente consapevole del proprio declino. In Francia Valeria Bruni Tedeschi ha dedicato Una ragazzina di 90 anni all’esperimento di un gruppo di danzatori e pazienti che ballando insieme contrastano la patologia e in Italia commuove tutti l’emozionante docufilm di Paolo Ruffini PerdutaMente, protagonisti i malati e le loro famiglie che li assistono amorevolmente. Sul fronte musicale, Enrico Ruggeri ha dedicato all’Alzheimer il brano Io non dimentico ambientando il videoclip tra i pazienti di un villaggio terapeutico di Monza e i Pinguini Tattici Nucleari hanno inciso Ricordi su una donna che sta perdendo la memoria. In tv ha registrato grandi ascolti la fiction di Canale 5 Il Patriarca con Claudio Amendola nei panni di un boss criminale che, avvertiti i primi sintomi della malattia, prova a “ripulire” la sua vita. E su Sky è attualmente in onda la seconda stagione di A casa tutti bene, la travolgente serie di Gabriele Muccino dedicata a una famiglia romana dilaniata da tragedie, conflitti, segreti. Tra i vari personaggi spicca Sandro, interpretato dal bravissimo Valerio Aprea: è un uomo mite e responsabile di cui l’Alzheimer si impadronisce gradualmente costringendo i suoi cari, a partire dalla moglie Beatrice (Milena Mancini) a scelte dolorose ma forse inevitabili, come il ricovero in una comunità terapeutica.

IL RACCONTO

 Un ruolo difficile, che poteva rischiare l’enfasi retorica, ma Aprea gli conferisce dignità e una profonda umanità. «Per preparami», rivela l’attore romano, 55 anni, «non ho dovuto fare un grande sforzo.

Mi sono ispirato alla mia esperienza personale: mio padre, negli ultimi anni della sua vita, ha sofferto di degenerazione cognitiva. E io mi sono rifatto alle sue assenze di memoria, ai suoi spaesamenti, a quell’annebbiamento che aveva cambiato anche la sua postura, rendendola incerta». Nella serie, Sandro-Valerio alterna momenti di consapevolezza, arrivando a consigliare altruisticamente all’amata moglie di rifarsi una vita, a situazioni in cui nega di avere la patologia. «Non ho mai saputo con certezza se mio padre sapesse di essere malato», racconta Aprea, «ufficialmente lo ha sempre negato, rimuoveva il problema. Mi ha dunque ispirato anche nelle scene in cui il mio personaggio si sorprende che gli altri registrino il suo disagio». Ed è condivisibile la scelta della famiglia di far ricoverare Sandro? «La serie non giudica e non dà risposte ma spinge lo spettatore a riflettere, cioè a chiedersi quale sia la decisione migliore per aiutare i portatori di Alzheimer. È un dilemma che attanaglia tutte le famiglie in cui la malattia si è insinuata». Recitare in A casa tutti bene è stata per Valerio un’esperienza indelebile, «perché avevo sempre interpretato ruoli comici (anche nella serie-cult Boris, ndr) e perché Muccino è un maestro nell’arte di dirigere gli attori, tira fuori “chirugicamente” il meglio da tutti».

LA RIFLESSIONE

 La sequenza emotivamente più tosta? «Quella in cui nella casa di cura parlo con mio fratello, il debosciato Riccardino (l’attore Alessio Moneta, ndr) alternando consapevolezza, spaesamento, rassegnazione: è un momento struggente in cui emergono il legame di sangue e il rapporto del mio personaggio con la realtà che ancora percepisce». Aggiunge l’attore: «L’Alzhemier fa paura alla società, a me per primo. Rivela la nostra deteriorabilità. Ma anche una serie può contribuire a sensibilizzare le persone aiutandole a pensare al problema in modo nuovo, meno irrazionale».

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