Cnr esclude che l'atmosfera inquinata possa favorire il contagio del virus

Cnr esclude che l'atmosfera inquinata possa favorire il contagio del virus
Cnr esclude che l'atmosfera inquinata possa favorire il contagio del virus
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Lunedì 4 Gennaio 2021, 13:51

L'inquinamento dell'aria non favorisce la diffusione del Covid-19. Lo ha stabilito uno studio congiunto tra Istituto di scienze dell'atmosfera e del clima del Cnr e Arpa Lombardia, ora pubblicato su Environmental Research. La ricerca ha analizzato le concentrazioni di SARS-CoV-2 in aria a Milano e Bergamo, in base  all’interazione con le altre particelle presenti in atmosfera.

La prima ondata della pandemia che aveva colpito in maniera più rilevante il Nord Italia rispetto al resto del Paese aveva fatto affiorare domande sul perchè la distribuzione geografica dell’epidemia fosse stata così irregolare, ipotizzando una connessione tra il cosiddetto particolato atmosferico e il virus che però, come ora è stato dimostrato, non interagiscono tra loro. Pertanto, escludendo le zone di assembramento, la probabilità di maggiore trasmissione in aria del contagio in zone ad elevato inquinamento atmosferico appare essenzialmente trascurabile.


La ricerca, pubblicata sulla rivista scientifica Environmental Research, è stata condotta analizzando i dati, per l’inverno 2020 a Milano e Bergamo.


«Tra le tesi avanzate, vi è quella che mette in relazione la diffusione virale con i parametri atmosferici, ipotizzando che scarsa ventilazione e stabilità atmosferica (tipiche del periodo invernale nella Pianura Padana) e il particolato atmosferico, cioè le particelle solide o liquide di sorgenti naturali e antropiche, presenti in atmosfera in elevate concentrazioni nel periodo invernale in Lombardia, possano favorire la trasmissione in aria (airborne) del contagio», spiega Daniele Contini, ricercatore di Cnr-Isac (Lecce). «È stato infatti supposto che tali elementi possano agire come veicolo per il SARS-CoV-2 formando degli agglomerati (clusters) con le emissioni respiratorie delle persone infette.

In tal caso il conseguente trasporto a grande distanza e l’incremento del tempo di permanenza in atmosfera del particolato emesso avrebbero potuto favorire la diffusione del contagio».


Nella ricerca sono state stimate le concentrazioni di particelle virali in atmosfera  in funzione del numero delle persone positive nel periodo di studio. «I risultati in aree pubbliche all’aperto mostrano concentrazioni molto basse, inferiori a una particella virale per metro cubo di aria», prosegue Contini. «Anche ipotizzando una quota di infetti pari al 10% della popolazione (circa 140.000 persone per Milano e 12.000 per Bergamo), quindi decupla rispetto a quella attualmente rilevata (circa 1%), sarebbero necessarie, in media, 38 ore a Milano e 61 ore a Bergamo per inspirare una singola particella virale. Si deve però tenere conto che una singola particella virale può non essere sufficiente a trasmettere il contagio e che il tempo medio necessario a inspirare il materiale virale è tipicamente tra 10 e 100 volte più lungo di quello relativo alla singola particella, quindi variabile tra decine di giorni e alcuni mesi di esposizione outdoor continuativa. La maggiore probabilità di trasmissione in aria del contagio, al di fuori di zone di assembramento, appare dunque essenzialmente trascurabile».

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