Coronavirus, l'infettivologo: «In troppi non sanno di avere il virus, bisogna insistere con la quarantena»

Coronavirus, l'infettivologo: «In troppi non sanno di avere il virus, bisogna insistere con la quarantena»
di Michela Allegri
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Giovedì 26 Marzo 2020, 00:57 - Ultimo aggiornamento: 14:45

Il professor Claudio Mastroianni, ordinario di Infettivologia all'Università La Sapienza di Roma e direttore della Uoc di Malattie infettive del Policlinico Umberto I, fa il punto sui nuovi dati della Protezione Civile. Per parlare di trend positivo è presto, «anche se siamo sulla buona strada», dice. Ma si tratta di un percorso ancora lungo e destinato ad avere conseguenze di lunga portata. 

Per il quarto giorno consecutivo si è registrata una discesa nella curva dei contagi. Possiamo iniziare a parlare di un trend positivo? 
«È certamente un dato positivo, che lascia supporre che siamo sulla buona strada. Ma è ancora presto per cantare vittoria. Se continuerà così per qualche altro giorno potremo dire di essere entrati in una fase di crescita minore. Anche se 3.491 nuovi contagi sono ancora molti: per iniziare a parlare di decrescita bisognerà arrivare a zero nuovi casi. Il processo sarà lento, ma è fondamentale che rimanga costante». 

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Quindi le restrizioni stanno funzionando? 
«Sì. La diminuzione dei contagi consentirà alle strutture sanitarie di assorbire meglio i malati più gravi. La prevenzione è fondamentale, è l'unica arma che abbiamo. I dati sui soggetti positivi sono la punta di un iceberg: c'è una grossa quota di popolazione che sicuramente è infettata, ma non ne è a conoscenza. Ora inizia il momento più difficile, perché bisogna insistere con isolamento e quarantena. In questa partita hanno un ruolo fondamentale i cittadini, che devono stare a casa, non essendosi una strategia migliore». 

Pensa che il trend positivo riguardi l'Italia nel complesso, o solamente il Nord? 
«In questa fase il trend positivo riguarda principalmente il Nord, perché lì ci sono stati molti più casi. Le misure di restrizione sono però state attuate quando nel Centro e nel Sud il numero dei contagi era ancora limitato, quindi è verosimile che in queste regioni non si arrivi ai numeri raggiunti in Lombardia, Piemonte ed Emilia Romagna. Potrà succedere che i casi aumenteranno anche al Sud prossimamente, ma non con la stessa drammaticità che si è verificata al Nord». 

Questo da cosa dipende? 
«Al Nord il contagio è stato scoperto quanto il virus aveva già infettato larga parte della popolazione. Al Centro e al Sud, invece, c'è stato il tempo per prepararsi. E' il contrario di quello che sta succedendo nel resto dell'Europa. La Spagna, nonostante l'esempio dell'Italia, si è trovata impreparata. Ora lì sta succedendo quello che è accaduto in Lombardia. L'Italia è stata il primo Stato europeo ad essere colpito dal virus, ma sarà anche il primo che riuscirà a contenere l'epidemia». 

A quel punto cosa succederà?
«Saranno giorni cruciali, perché quando la situazione si sarà stabilizzata dovremo stare attenti ai contagi di ritorno. Dovremo evitare gli arrivi da Paesi nei quali il virus è diffuso». 

Quanto dovrebbero durare le restrizioni per essere efficaci?
«Le misure di cautela dovranno durare per molto tempo. Non dico la restrizione assoluta, il divieto di uscire di casa, ma le misure di prevenzione. Non dobbiamo pensare che il problema si risolverà in un paio di settimane. Le misure potranno essere gradualmente affievolite, ma il livello di cautela dovrà rimanere alto per mesi. Parlo delle distanze di sicurezza, del lavaggio frequente delle mani, dell'evitare di uscire se si hanno sintomi influenzali. Si tratta di norme che probabilmente entreranno nei nostri modi di fare quotidiani. Mi aspetto che anche all'interno degli ospedali queste abitudini potranno avere risultati positivi nella prevenzione delle infezioni ospedaliere: la maggiore cautela che gli operatori hanno imparato ad avere in questi giorni sarà utile in futuro». 
 

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