Virus di 48.500 anni fa rianimato dal permafrost siberiano: è stato replicato dagli scienziati in laboratorio

Fenomeni legati allo scongelamento degli strati perennemente ghiacciati: è già successo con l'antrace che ha ucciso almeno duemila renne nel 2016

Un virus di 48.500 anni fa rianimato (e replicato in laboratorio) dal permafrost siberiano: è il più antico di sempre
Un virus di 48.500 anni fa rianimato (e replicato in laboratorio) dal permafrost siberiano: è il più antico di sempre
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Giovedì 24 Novembre 2022, 12:22 - Ultimo aggiornamento: 25 Novembre, 07:53

Virus e pandemia - È un equilibrio delicatissimo. Però se salta quell'equilibrio e un virus prende il potere è come chiudere un libro e aprirne un altro: è un altro mondo. Letteralmente, e lo abbiamo visto in questi anni. Un mondo fatto di pandemie, virus, di organismi che attaccano altri organismi. Di cosa parliamo? Di cambiamento climatico, di virus antichissimi rimasti inattivi fin dalla preistoria, che sono "congelati", e custoditi, blindati nel permafrost della Siberia fin dall'era glaciale. A causa dell'innalzamento delle temperature, quei virus potrebbero avere presto via libera. Lo sostengono degli scienziati dell'Università di Marsiglia che hanno pubblicato uno studio - non sottoposto a peer review - in cui sostengono che vale la pena prendere in considerazione questa minaccia visto che scongelamento del permafrost e cambiamenti climatici sono realtà.

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I ricercatori spiegano come hanno identificato e resuscitato 13 virus raccolti in Siberia. Tra i virus, sono riusciti a rianimarne uno da un campione di permafrost risalente a circa 48.500 anni fa. «Lo scongelamento irreversibile del permafrost sta liberando materia organica congelata fino a un milione di anni - si legge nel pre print pubblicato dai ricercatori -  la maggior parte della quale si decompone in anidride carbonica e metano, aumentando ulteriormente l'effetto serra. Parte di questa materia organica è costituita anche da microbi cellulari rianimati (procarioti, eucarioti unicellulari) e da virus rimasti inattivi fin dalla preistoria». «48.500 anni sono un record mondiale», ha dichiarato al New Scientist Jean-Michel Claverie, uno degli autori del lavoro e professore di genomica e bioinformatica presso la Scuola di Medicina dell'Università di Aix-Marseille.

«Riportiamo le caratterizzazioni preliminari di 13 nuovi virus isolati da 7 diversi campioni di permafrost siberiano antico, 1 dal fiume Lena e 1 dal criosol della Kamchatka. Questi virus appartengono a 5 diversi cladi: pandoravirus, cedratvirus, megavirus e pacmanvirus, oltre a un nuovo ceppo di pithovirus», scrivono gli scienziati guidati da Jean-Michel Claverie. Il team è formato da: Jean-Marie Alempic, Audrey Lartigue, Artemiy E. Goncharov, Guido Grosse, Jens Strauss, Alexey N. Tikhonov, Alexander N. Fedorov, Olivier Poirot, Matthieu Legendre, Sébastien Santini, Chantal Abergel.

Il precedente: l'antrace e la strage delle renne

Al di sopra delle temperature di congelamento, il ritorno dell'acqua liquida innesca la riattivazione metabolica di numerosi microrganismi del suolo (batteri, archei, protisti, funghi). Una preoccupazione immediata per la salute pubblica - scrivono i ricercatori-  è il rilascio fisico di batteri (o archei, cioè batteri antichi) vivi che sono rimasti in criptobiosi intrappolati nel permafrost profondo, isolati dalla superficie terrestre da 500mila fino anche a 2 milioni di anni. Scrivono ancora i biologi francesi: su una scala temporale più breve, il ritorno periodico di epidemie di antrace che devastano le popolazioni di renne (l'ultima nel 2016) è stato collegato allo scongelamento più profondo dello strato attivo del permafrost alla superficie del suolo durante le estati eccezionalmente calde, consentendo alle spore di Bacillus anthracis centenarie provenienti da vecchie sepolture o carcasse di animali di riemergere. 

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Il rilascio di agenti patogeni: come avviene? Grazie al disgelo

«Si potrebbe immaginare che strati di permafrost molto profondi (cioè vecchi di milioni di anni), come quelli estratti dalle miniere a cielo aperto, possano rilasciare agenti patogeni totalmente sconosciuti», scrivono i biologi. Il brusco disgelo che opera verticalmente lungo l'intera parete delle scogliere di permafrost (fanno l'esempio dell' Alaska), provoca il rilascio simultaneo di antichi microrganismi da suoli congelati risalenti all'intero Olocene fino al tardo Pleistocene (cioè fino a 120.000 anni fa). Queste popolazioni batteriche includono parenti di comuni patogeni contemporanei (Acinetobacter, Bacillus anthracis, Brucella, Campylobacter, Clostridia, Mycoplasma, vari Enterobatteri, Micobatteri, Streptococchi, Stafilococchi, Rickettsia). Fortunatamente, scrivono i ricercatori, oggi abbiamo a disposizione moderni antibiotici «anche se i batteri portatori di geni di resistenza agli antibiotici sembrano essere sorprendentemente prevalenti nel permafrost». 

E qui arriva il ragionamento prudente e pessimista: «Come purtroppo ben documentato dalle recenti (e in corso) pandemie ogni nuovo virus, anche se legato a famiglie note, richiede quasi sempre lo sviluppo di risposte mediche altamente specifiche, come nuovi antivirali o vaccini. Non esiste un equivalente di "antibiotici ad ampio spettro" contro i virus. È quindi legittimo riflettere sul rischio che antiche particelle virali rimangano infettive e tornino in circolazione a causa dello scongelamento di antichi strati di permafrost». 

«La nostra revisione della letteratura mostra che sono stati pubblicati pochissimi studi su questo argomento. A nostra conoscenza, il primo è stato l'isolamento dell'RNA dell'influenza da una biopsia congelata del polmone di una vittima sepolta nel permafrost dal 1918 da cui è stata ottenuta la sequenza codificante completa del gene dell'emoagglutinina. Un altro è stato il rilevamento del DNA del virus del vaiolo in una mummia siberiana di 300 anni fa sepolta nel permafrost. Probabilmente per motivi di sicurezza - scrivono i ricercatori - non sono stati condotti studi successivi per cercare di "rianimare" questi virus, fortunatamente. Il primo isolamento di due virus eucariotici completamente infettivi dal permafrost di 30.000 anni fa è stato quindi effettuato nel nostro laboratorio e pubblicato nel 2014 e nel 2015», spiegano. «Da allora non è stato pubblicato nessun altro isolamento di un virus del permafrost, il che potrebbe far pensare che si sia trattato di colpi di fortuna e che l'abbondanza di virus rimasti infettivi nel permafrost sia molto bassa. Ciò è errato. La facilità con cui sono stati isolati questi nuovi virus suggerisce che le particelle infettive di virus specifici per molti altri ospiti eucariotici non testati (protozoi o animali) rimangono probabilmente abbondanti nel permafrost antico», concludono.

C'è, quindi, una sorta di cimitero dei virus custodito nelle profondità degli strati di terreno perennemente ghiacciati. Il disgelo, il cambiamento climatico, potrebbe letteralmente resuscitare questi virus. 

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