Fosse stato per il solo (e famigerato) Rt, il Veneto non sarebbe entrato in fascia arancione. L'indice di contagio puntuale, cioè quello calcolato il 22 dicembre e relativo agli ultimi sette giorni, è risultato infatti pari a 0,97, quindi tre decimali sotto la nuova soglia stabilita per lasciare la zona gialla. Ma questa volta a pesare è stata l'incidenza dei positivi ogni centomila abitanti: 454,31 dal 28 dicembre al 3 gennaio e 927,36 nell'arco di due settimane, i valori più alti d'Italia, come peraltro è inevitabile che sia per la Regione che effettua più tamponi di tutte.
Anche senza voler considerare i 2.047.164 test rapidi eseguiti finora, infatti, dall'inizio dell'emergenza il Veneto ha contabilizzato 3.431.018 esami molecolari: un milione e mezzo meno della Lombardia, che però ha il doppio dei suoi residenti. Del resto, più si cerca, più si trova. Ed oggettivamente si è trovato tantissimo: 22.296 nuovi casi fra lunedì e domenica della scorsa settimana, più del doppio dell'Emilia Romagna, che pure ha un Rt superiore a 1. Questo per dire quanto complesso sia il sistema di monitoraggio, giunto ormai alla puntata numero 34, che viene svolto settimanalmente dal ministero della Salute e dall'Istituto superiore di sanità, in relazione a 21 parametri individuati sulla base dei dati comunicati dalle Regioni.
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Fra questi, spesso nel dibattito pubblico viene citato appunto l'indice di trasmissione dell'infezione, oppure vengono menzionati i tassi di occupazione della Terapia intensiva, magari per accusare il Veneto di aver indicato un numero nominale di posti-letto superiore a quello effettivo proprio per tenere bassa la misura della saturazione. Ma per capire davvero come funziona la valutazione del rischio di ciascun territorio, prodotta dalla combinazione di diversi algoritmi che vengono applicati sui flussi statistici, bisogna prendersi la briga di esaminare le schede, decifrare gli indicatori, confrontare gli andamenti.
Perché il colore è cambiato?
È quello che Il Gazzettino fa pressoché ogni venerdì, analizzando il rapporto stilato dalla cabina di regìa e articolato in tre dimensioni. La prima riguarda la completezza dei dati: su questo, il Veneto è in grado di individuare la data di inizio dei sintomi per l'84,6% dei casi segnalati, una quota definita «stabilmente sopra-soglia». Il secondo capitolo concerne la trasmissione dell'infezione e l'impatto del virus: il Veneto ha appunto un Rt di 0,97, ma registra un incremento settimanale dei casi pari al 3,7%, nonché tassi di occupazione dei reparti ospedalieri quantificati in quei sette giorni nel 37% in Terapia intensiva e nel 45% in area non critica. Il terzo filone attiene alla capacità di accertamento diagnostico, indagine e gestione dei contatti: nella settimana considerata, viene segnalata un'allerta, rappresentata dal 13,7% di positivi sui tamponi, fra cui attualmente vengono però ancora conteggiati soltanto i molecolari e non anche gli antigenici.
La combinazione di questi, e di tutti gli altri risultati relativi ai 21 parametri, determina il verdetto finale: fascia arancione.
Dati vecchi
Questa classificazione entra in vigore il 10 gennaio, ma si riferisce a dati risalenti almeno al 22-28 dicembre, se non ancora a prima per alcuni indicatori.
Ad ogni modo, l'ha sottolineato ieri il direttore generale Luciano Flor: «Stiamo notando un minor numero di nuovi ingressi in Rianimazione. Per un lungo periodo ne abbiamo registrati mediamente 20, ora siamo intorno a 15. Lo stesso sta succedendo nelle Malattie infettive e nelle Semi-intensive, nonché negli ospedali di comunità». Ma così è. E anche questo è un tassello del mosaico, insieme a tanti altri, fra cui i numeri del bollettino di giornata: ulteriori 2.763 positivi (281.76 dall'inizio) e 97 morti (7.324 in totale), con i ricoverati che scendono a 2.949 in area non critica e a 378 in Terapia intensiva.