Coronavirus-Cts, Agostino Miozzo: «Rischio 1.000 casi al giorno, inevitabili lockdown locali»

Coronavirus. Cts, Agostino Miozzo: «Rischio 1.000 casi al giorno, inevitabili lockdown locali»
Coronavirus. Cts, Agostino Miozzo: «Rischio 1.000 casi al giorno, inevitabili lockdown locali»
di Mauro Evangelisti
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Lunedì 17 Agosto 2020, 00:24

«Sono discretamente preoccupato. Se andiamo avanti così, con l’aumento giornaliero dei casi positivi, presto supereremo mille. A un certo punto decideranno i numeri: di fronte al superamento di alcuni limiti, saranno necessarie chiusure. Parlo di lockdown localizzati, questo sia chiaro. Limitati a un certo paese o a un determinato quartiere».

Agostino Miozzo, medico, è un dirigente della Protezione civile, ma soprattutto è il coordinatore del Comitato tecnico scientifico, tra i primi ha spiegato che bisognava chiudere subito le discoteche perché la situazione stava aggravandosi. Negli ultimi giorni, l’aumento degli infetti (e purtroppo anche dei pazienti in terapia intensiva, sia pure di poche unità) gli sta dando ragione.

Anche ieri quasi 500 positivi su appena 36 mila tamponi. Cosa sta succedendo?
«Sono discretamente preoccupato. Se i dati vanno avanti così, è probabile che supereremo le mille unità al giorno. Entro un paio di settimane avremo anche la verifica, gli effetti, di questo “liberi tutti” dell’estate. Questo è il vero dramma. Il ritmo di crescita è evidente. Non si possono fare i miracoli di fronte ai numeri».

Come mai stanno correndo così velocemente i numeri?
«I presidenti delle Regioni, soprattutto dove il turismo ha una valenza economica importante, hanno liberalizzato un po’ troppo. Quando noi diciamo che le discoteche sono un polo pericoloso, non vogliamo rovinare migliaia di operatori del settore. Diciamo al governo: fatti carico di queste persone, ma chiudiamo le discoteche, sono un vero rischio. Intervenire oggi potrebbe essere un po’ tardi».

La situazione degli ospedali è sicuramente sotto controllo. Però più aumentano i casi, più in percentuale aumenteranno anche i casi più gravi.
«I numeri sono numeri. Per il momento è tutto sotto controllo, per il momento siamo in grado di governare e di gestire, per il momento le terapie intensive sono lontanissime dalla saturazione. Ma se i casi giornalieri da 500 diventano 4.000, si capisce bene che si va in difficoltà. La matematica non è una opinione».

Quali misure di contenimento rischiamo se non fermiamo rapidamente l’incremento dei casi?
«Per il momento il controllo dei focolai funziona e non servono neanche lockdown localizzati. Però tutto dipende dai numeri: ci sono indicatori precisi, sulla base di ricoveri e terapie intensive. Quando superano la soglia di sicurezza, bisogna intervenire. Sono numeri, non c’è discussione. Non parlo, sia chiaro, di un lockdown nazionale, ma di interventi circoscritti sulle aree in crisi, può essere un paese o un quartiere. Immagino, nella peggiore delle ipotesi, e sottolineo la peggiore delle ipotesi, delle zone rosse molto localizzate».

Però sapremo rispondere meglio rispetto a marzo.
«Certo, però è anche difficile prevedere le dimensioni dei danni. In autunno avremo la concomitanza degli effetti dei rientri dalle vacanze, dell’influenza i cui sintomi si confonderanno con quelli del Covid, della riapertura delle scuole. I rientri dall’estero, con i ragazzi che sono stati in Paesi come la Croazia dove hanno fatto finta che non esistesse il coronavirus, per non affossare il turismo, sono un altro elemento molto delicato».

Sulle scuole c’è stata qualche incomprensione. Quali sono le vostre indicazioni su mascherine e distanze? Ma davvero il Cts ha detto che non servono più le distanze?
«Non è così. Il presupposto della distanza, della mascherina e dell’igiene resta. In casi del tutto eccezionali, limitatissimi, indicati dalle autorità scolastiche, in numeri ridotti e per un periodo brevissimo entro il quale vengono trovate soluzioni, si potrà rendere obbligatoria la mascherina, ma anche l’areazione dei locali frequentati. Ma ripeto: solo per un numero limitato di studenti e per un periodo provvisorio. E la soluzione del distanziamento deve arrivare velocemente. Abbiamo anche suggerito, dove non esistono alternative, di ricorrere alle tensostrutture, come si fa nei terremoti».

Qualcuno ha voluto fare dell’ironia sulle soluzioni ipotizzate per consentire di far partire l’anno scolastico in sicurezza.
«Guardi, io quotidianamente sulla mia mail ricevo minacce e attacchi. Ma non mi interessa: c’è un problema, dobbiamo affrontarlo e risolverlo con le soluzioni possibili. Come si fa in Protezione civile».
 

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