Green Pass, Cartabellotta: «Inevitabile, ma i tamponi devono essere gratis per tutti»

Green Pass, Cartabellotta: «Inevitabile, ma i tamponi devono essere gratis per tutti»
di Francesco Malfetano
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Martedì 18 Maggio 2021, 06:22

«Il Green pass oggi è una soluzione inevitabile. Ovvio che non garantisce un rischio zero di contagi e che è una materia difficile su cui legiferare». Serve però provarci. «Bisogna trovare il modo per regolamentare altri utilizzi specifici della certificazione verde, come gli esperimenti sulle discoteche di cui si sta parlando molto». Per Nino Caratabellotta il pass vaccinale è «una materia controversa». Non a livello teorico, lì i dubbi sono pochi - «Aiuta ad abbattere il contagio» e «Può convincere i Ni-Vax» - quanto nella sua applicabilità pratica. In altre parole il presidente di Gimbe, la fondazione che dall'inizio dell'emergenza sanitaria è diventata un punto di riferimento con le sue analisi indipendenti sui dati del contagio, teme che anche il pass diventi uno strumento ingestibile dall'Italia e che questo ne freni l'utilizzo.

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Dottor Cartabellotta, si parla tanto del Green pass italiano e di quello della unione europea, così come della possibilità di utilizzarlo in maniera più estensiva rispetto a quanto previsto nel decreto dello scorso 26 aprile. Lei che opinione se n'è fatto? Lo reputa uno strumento valido?
«Ma certo. È evidente che se io trovo un modo di favorire la circolazione solo delle persone vaccinate, guarite o con un tampone negativo nelle 48 ore precedenti, riduco la probabilità di diffondere i contagi.

A maggior ragione se poi si riesce ad ampliarne l'uso. Oggi infatti, il green pass è concepito solo per consentire agli italiani di spostarsi tra Regioni di colori differenti. Ma si può cercare il modo di estenderlo».

 


Si è parlato molto degli esperimenti nelle discoteche o di un suo utilizzo per i matrimoni. O magari per fiere e convegni.
«Glielo dico chiaramente: io auspico che il governo trovi il modo e con un atto normativo vada a regolamentare altri utilizzi specifici del pass. Bisogna però che sgomberi il campo da ogni dubbio, in modo da renderlo più efficace».


Ad esempio? Che dubbi ha?
«Mi tengo fuori dalle valutazioni sulla gestione della privacy perché non mi compete, le parlo a livello sanitario. Noi accettiamo di porre sullo stesso piano tre situazioni differenti (tampone negativo, guarigione dalla Covid19 e vaccino ndr) che però non solo non sono perfettamente equivalenti a livello di rischio - ma va bene, il rischio zero non esiste e serve un compromesso - ma anche in termini di accesso. E questo non va bene. Ad oggi l'accesso ai vaccini, pagati dallo Stato, non è ancora per tutti. E l'alternativa, il tampone, è a carico del cittadino. Per questo, dal punto di vista dei livelli essenziali di assistenza, il tampone dovrebbe pagarlo lo Stato. Ovvio che oggi non è fattibile, ma è un tema. Non il solo peraltro».


Cioè?
«Il decreto prevede l'implementazione di una piattaforma digitale che ad oggi ancora non esiste. L'impossibilità di disporne in tempi brevi, e quindi dover utilizzare un'autocertificazione e tre documenti cartacei, è un inciampo non da poco».


Estendere il Green pass, rendendo più facile la ripartenza del Paese, peraltro può essere anche uno strumento valido per convincere gli indecisi che ancora non si sono vaccinati.
«Il 43% della popolazione in fascia 60-69 non si è vaccinata e, soprattutto, non si è prenotata. E questo è un problema. Una campagna vaccinale di questa portata deve avere tre fasi. La prima è quella a prenotazione volontaria, poi la cosiddetta chiamata attiva, e infine l'obbligatorietà se la quota residuale non consente di mettere in sicurezza il Paese. Si usano anche strategie di incentivazione economica: in USA, nel West Virginia, hanno usato anche incentivi finanziari sino a 100 dollari per i giovani. In Italia questo discorso manca, ma il green pass può funzionare anche in questo modo».


Mi spiega il concetto di chiamata attiva?
«Una volta esauriti i volontari resta una fascia timorosa, che attende. I Ni Vax. C'è bisogno che la persona del mondo sanitario più vicina a loro, qualcuno che sappia come fare, li convochi uno per uno per rassicurarli e convincerli. Questo è per me il vero ruolo del medico di famiglia che non deve svolgere solo il ruolo di vaccinatore, ma utilizzare al meglio il rapporto fiduciario con i propri assistiti».

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