Stato di emergenza finisce oggi dopo 2 anni: le nuove regole. Cosa ci resta del Covid? Eredità positiva e occasioni perdute

Il virus ci ha dato lezioni importanti, ma anche opportunità non colte

Fine stato di emergenza, oggi le nuove regole. Cosa ci resta del Covid? Eredità positiva e occasioni perdute
Fine stato di emergenza, oggi le nuove regole. Cosa ci resta del Covid? Eredità positiva e occasioni perdute
di Ernesto Menicucci
13 Minuti di Lettura
Mercoledì 30 Marzo 2022, 23:59 - Ultimo aggiornamento: 31 Marzo, 16:08

Che cosa resterà di questi due anni di stato d’emergenza? Non è una canzone di Raf, ma quello che in molti di noi – guardando il calendario – ci stiamo chiedendo: 31 marzo 2022, stop allo stato emergenziale, con tutto ciò che ne consegue. Stop, graduale certo, al Green pass rafforzato per andare al lavoro (ma anche al cinema, al ristorante, al bar, in aereo o in treno), via – con ogni probabilità – le mascherine al chiuso entro l’estate, stop alla struttura guidata dal generale Figliuolo (di ieri la notizia della sua sostituzione), stop al Cts formato dai tecnici che per due anni ha scandito le nostre vite con le sue decisioni o comunque con i suoi indirizzi. In generale, soffia forte il vento di una nuova “normalità”, di una vita da vivere, di abbracci da recuperare, di posti da visitare.

Certo, in gran parte molte “barriere” sono cadute da un pezzo: le zone rosse, gli isolamenti in casa per chi ha avuto un contatto con un positivo, l’utilizzo delle mascherine all’aperto. Frutto, in gran parte, della vaccinazione, sulla quale gli italiani hanno dato comunque una grande prova di responsabilità: nonostante il rallentamento delle ultime settimane, circa l’84% della popolazione ha completato il ciclo vaccinale, il 65% ha fatto anche la terza dose. Due anni fa, quando è partita questa lunga “guerra” (dirlo oggi che il conflitto è “reale” e alle porte dell’Europa fa effetto, ma questo è stato il Covid), sembrava un miraggio. 

LE TAPPE

Poi, piano piano, da quel 27 dicembre 2020, dal vaccino-day con le prime somministrazioni ai medici in prima linea, la macchina è partita, il virus si è fatto da una parte sempre più contagioso ma dall’altra parte sempre meno letale (il bilancio dei morti, per fortuna, è crollato di quasi la metà), tanto che anche la ripresa dei contagi di quest’ultimo periodo – che pure c’è stata – non ha fatto rivedere i piani del governo. Si va incontro all’estate, tra meno di tre settimane sarà Pasqua e, dopo le ultime due passate in lockdown o in zona rossa, torneranno anche le adunate familiari, la braciolata di Pasquetta o la gita “fuori porta”. Quello che ci resta, e che non dobbiamo dimenticarci, intanto è il ricordo di chi non c’è più, e ognuno ha la sua spoon river personale e privata. E poi che, anche in una pandemia come questa, in una crisi mondiale che ci lascia addosso insicurezza verso il futuro, paura per i nostri figli, tra diverse occasioni perse (dalla riorganizzazione dei trasporti alle carenze del sistema scolastico e di quello della medicina di base), il Covid lascia anche qualcosa che prima non sapevamo di avere, o a cui avevamo dato meno importanza: il ruolo della tecnologia per lo studio e per il lavoro, la riscoperta degli affetti familiari che ci sono mancati, la gioia di stare all’aria aperta, l’utilità (a volte) delle mascherine. Lezioni, anche queste, da non dimenticare.

L’EREDITÀ POSITIVA

Le protezioniCon le mascherine meno raffreddori

Senza le mascherine, combattere il virus non sarebbe stato possibile, anche se la certezza che fosse indispensabile usarle non è stata chiara subito, neanche per gli esperti. I primi dati dell’epidemia che arrivavano dalla Cina erano spesso ritenuti non attendibili e così la raccomandazione a utilizzarle sembrava addirittura eccessiva. Poi, finalmente, la decisione di renderle obbligatorie. Ma l’approvvigionamento non è stato facile: dai primi modelli non a norma, distribuiti anche nelle scuole, solo a pandemia in corso è stato possibile acquistarle ovunque con facilità. All’aperto, ormai, se ne può fare a meno, mentre invece al chiuso presto potrebbe cadere l’obbligatorietà. Gli esperti fanno muro: finché circola il virus, oltre alla vaccinazione, le mascherine rappresentano l’unico dispositivo di sicurezza in grado di salvarci dal contagio. Non solo. Grazie alle mascherine, nei due anni passati sembrano quasi scomparsi i virus influenzali. A trarre beneficio da questo semplice dispositivo di sicurezza, sono stati anche i soggetti che soffrono di allergie: negli ultimi due anni sono riusciti a evitare le consuete reazioni causate dai pollini. I benefici, insomma, sono palesi. Per molti sarà difficile smettere di usarle.

di Graziella Melina

La tecnologia. Smart working e Dad, il computer è amico

Prima del fatidico marzo 2020 in cui iniziò il lockdown, quando ci capitava – raramente – di effettuare una videochiamata, molti di noi erano imbarazzati. Guardarsi attraverso lo schermo di uno smartphone o di un pc sembrava una cosa innaturale e anche un po’ buffa. Poi, d’un tratto, è diventato tutto normale, anzi di più: le videochiamate, e le videoconferenze, si sono rivelate irrinunciabili. Lo sapevamo nella teoria ma lo abbiamo anche toccato con mano: i dispositivi tecnologici, connessi, e soprattutto trasportabili, possono essere utilizzati per adattare i nostri ritmi forsennati alle nostre vite, per dare più valore al tempo.

Smart working e Dad sono realtà: adesso sappiamo che è il lavoro, o la scuola, che deve seguire noi, e non il contrario. Sappiamo che nel prendere un treno per partecipare a una riunione di mezz’ora si sprecano tempo ed energie che potrebbero essere dedicate al lavoro stesso, o alla famiglia. Sappiamo anche che nessuna piattaforma può sostituire la vicinanza fisica, ma dovremmo sapere che gli strumenti digitali possono affiancare quelli tradizionali: avere dei mezzi che ci aiutano a lavorare e a vivere meglio, è un’occasione imperdibile. Sprecarla sarebbe davvero poco smart.

di Andrea Andrei

 

Il tempo libero. L’amore per la natura e le attività all’aperto

Il Covid ci ha cambiati e qualcuno dice in peggio ma possiamo almeno concordare su un cambiamento positivo per tutti: la riscoperta del piacere, anzi del bisogno, di stare fuori. All’aperto. Per respirare dopo aver temuto di finire intubati o addirittura dopo aver sperimentato che cosa questo significhi.
Ovunque le strade sono state invase dai tavoli dei ristoranti perché ritrovarsi e cenare insieme è stato il primo passo verso la normalità. Chi non aveva mai praticato sport all’aria aperta ha scoperto di aver bisogno della passeggiata anche dopo la fine del lockdown e molti che pensavano di non poter vivere lontani dal centro della città hanno scoperto di non volervi tornare. Manhattan per esempio è divisa a metà. Nel Village e a SoHo, dove i residenti sono più giovani, quasi tutti i locali hanno riaperto. Nell’Upper East Side, invece, area super benestante, tutto è molto più rallentato: chi ha figli piccoli e col Covid aveva iscritto i bambini nelle scuole degli Hamptons o in campagna è rimasto a vivere fuori con lo smart working. Forse torneremo indietro su molte cose, ma non sulla riscoperta di quanto vale vivere all’aria aperta, con meno auto e più sorrisi. Se non fosse così perché tanti, soprattutto Millennial, rifiutano di tornare alla vita di prima, in città e in ufficio?

 

di Maria Latella

La sfera più intima. Famiglia e amici, i beni irrinunciabili

La fugacità dei soliti rapporti ha ceduto il posto alla riscoperta dei cosiddetti «affetti stabili». In due anni di stato d’emergenza, tra lockdown e smart working, quarantene e condivisioni del morbo, la famiglia - data troppe volte frettolosamente per morta - ha ripreso fiato e ruolo. Almeno nelle case in cui in fondo ci si è sempre voluti bene. Più pranzi e cene domestiche e meno ristoranti con i colleghi e cocktailini frou frou. S’è perfino scoperto che papà sa sbucciare una mela e sa addirittura cucinare. La convivenza con quella rompiscatole di mia sorella mi ha costretto ad ascoltarla. E c’è il genitore che ha cominciato a non credere alle proprie orecchie: pensavo che mia figlia sapesse solo grugnire e invece mi parla! Oddio, magari questa estasi della riscoperta dei sentimenti più prossimi svanirà ma non sarà facile liberarsene perché quando assaggi la novità e la gusti per un po’ finisce per diventare una nuova normalità, anche se cambiano le condizioni esterne. Il fatto è che, nell’emergenza, abbiamo imparato a selezionare le cose importanti, e la famiglia lo è eccome, rispetto alle altre. E questo vale anche per le amicizie e per le frequentazioni. Siamo diventati ancora più amici dei nostri veri amici. L’essenziale s’è impadronito di noi. Ed evviva.
 

di Mario Ajello

L'igiene personale. Lavarsi mani e viso, attenzioni ritrovate

Mai come in questi due anni siamo stati così attenti a igienizzare noi stessi e le nostre case. La pandemia, infatti, ci ha insegnato e ricordato che i virus e i batteri non si diffondo solo nell’aria, ma che possono depositarsi e sopravvivere più o meno a lungo anche sulle superfici. Ad esempio, sulle mani che utilizziamo per coprire la bocca da uno starnuto o da un colpo di tosse. Oppure sugli abiti che indossiamo, sulle maniglie degli armadi, sul tavolo della cucina, sul telecomando della tv. L’emergenza Covid-19 ci ha costretti a rivedere le nostre abitudini sia nel lavaggio delle mani che nella pulizia domestica. E anche quando la pandemia sarà finita, queste buone abitudini rimarranno o almeno così si spera. Secondo uno studio dell’Osservatorio Europeo dell’Igiene, da quando è scoppiata la pandemia gli italiani che hanno imparato a lavarsi le mani, spesso e a lungo, sono aumentati. I numeri sono eloquenti: oggi l’83% dei nostri connazionali si lava le mani dopo essere andato in bagno. Meglio di noi fanno solo i tedeschi. E siamo primi nel lavaggio delle mani prima dei pasti, dopo aver usufruito dei trasporti pubblici, quando si rientra a casa. Facciamo più attenzione anche all’igiene in casa: il tempo per le pulizie è aumentato, sia tra i single che nelle coppie.
 

di Valentina Arcovio

LE OCCASIONI PERDUTE

Didattica. Nessun intervento sulle aule scolastiche

La scuola in presenza, quest’anno, è stata garantita dai vaccini. Altrimenti sarebbe stato impossibile riportare tutti in classe, al 100%. Come avvenuto del resto lo scorso anno. Il motivo? Il distanziamento di un metro, tra i ragazzi, non è stato garantito. E chi sperava, due anni fa, di poter cogliere l’occasione per veder arrivare nuove aule per gli studenti, contando sullo sdoppiamento delle classi, è rimasto decisamente deluso. Lo scorso anno, infatti, le poche aule aggiuntive sono arrivate, in maggior parte, dalle parrocchie. Negli istituti sono stati sfruttati spazi già esistenti come palestre, laboratori e corridoi. Strutture (sottratte alle attività quotidiane) trasformate in aule e che prima o poi, dovranno tornare nella loro funzione originale. Nuove strutture, quindi, non ce ne sono state. Durante l’intero anno scolastico 2020-2021, quando i vaccini ancora non avevano raggiunto buona parte della popolazione, si è andati avanti con la Dad soprattutto nelle scuole superiori, prima al 100% poi con rientri al 50% o al 40%. Poi il, problema è stato “superato” togliendo il vincolo del metro di distanziamento tra i banchi: chi non può garantirlo, può non rispettarlo. Un’ammissione di impotenza. E le classi pollaio? Restano, tali e quali a prima. 
 

di Lorena Loiacono

Il nodo trasporti. Pochi bus in più e linee affollate

La pandemia lascia un’eredità magra, anzi magrissima, sul fronte del trasporto pubblico. In questi due anni poco è cambiato per uno dei settori più arretrati del sistema italiano nonostante una pioggia di stanziamenti non indifferente: fra il 2020 e il 2021, infatti, sono stati distribuiti ben 2 miliardi e 390 milioni per i trasporti locali. Denaro necessario da una parte per evitare il fallimento delle società di gestione causato dal crollo delle entrate e dall’altro per aumentare i bus sulle strade nel tentativo di garantire il distanziamento a studenti e pendolari. Quest’ultimo obiettivo non è stato raggiunto ma un risultato tangibile è l’ingresso in servizio di un migliaio di nuovi autobus in tutto il Paese.
In ogni caso non sono stati sciolti i nodi di fondo: l’eccessivo numero di società municipali e regionali che li gestiscono (circa 900) e la carenza cronica di infrastrutture come le metropolitane, problema maggiormente sentito nelle grandi città. Ora qualcosa si muove: per il “Trasporto rapido di massa” sono in cantiere o finanziati 116 km di metropolitane (a Roma, Milano, Torino, Genova, Napoli e Catania), 235 chilometri di tranvie (a Roma, Milano, Bergamo, Brescia, Padova, Bologna, Firenze, Napoli, Palermo, Cagliari e Sassari) e 103 km di filobus.

 

di Diodato Pirone

Difficoltà psicologiche. Il senso di precarietà che ci resta addosso

La pandemia ha alimentato le nostre insicurezze, ci ha ingannato e illuso ogni volta che la curva dei contagi è scesa per poi risalire. Anche in queste ore c’è chi sta combattendo con il Covid, con sintomi dolorosi, dopo che per due anni era riuscito a schivare il contagio. Questo alimenta un senso di precarietà che negli ultimi decenni, in una società e in un’epoca tra le più sicure della storia dell’umanità, si era invece diradato. La data che segna la fine dello stato di emergenza non può fissare la fine del pericolo causato dal Covid. La pandemia non terminerà dall’oggi al domani, semplicemente con i vaccini e una progressiva immunità naturale vediamo ridurre l’aggressività delle infezioni e ampliare le nostre possibilità di convivere con una nuova malattia. Ma tra nero e bianco, c’è un grigio che fatichiamo ad accettare. Ci portiamo sulle spalle il fardello della paura dei luoghi affollati, dei viaggi in metropolitana, su un treno o su un aereo. E il Covid ha aumentato le distanze, ben oltre i due metri suggeriti come misura sanitaria: fatichiamo a essere tolleranti con una porzione di italiani che non pensavamo esistesse, prima negazionisti del Covid, dei morti, delle bare di Bergamo, poi sabotatori delle scialuppe che ci hanno salvato, i vaccini.
 

di Mauro Evangelisti

I medici di famiglia. Carenze non risolte nella sanità di base

La pandemia ha scoperto il vaso di pandora del sistema sanitario. L’assistenza pubblica, che già prima dell’emergenza sanitaria mostrava numerose falle, ha rischiato il collasso. E se la rete ospedaliera ha retto e ha fornito le cure necessarie ai malati di covid, lasciando però spesso a casa gli altri malati non urgenti, la medicina territoriale ha annaspato. Se all’inizio della pandemia l’incertezza delle cure da fornire ai malati covid e la paura del contagio hanno spinto molti medici di famiglia a fornire assistenza solo telefonica, col passare del tempo la pressione sulla medicina territoriale è stata insostenibile. Numerosi medici, soprattutto nella prima fase della pandemia, si sono contagiati, altri purtroppo sono morti, altri ancora hanno scelto di andare in pensione. A farne le spese, i pazienti cronici, gli oncologici, gli anziani, rimasti privi di punti di riferimento. Le liste di attesa per le visite e gli esami si sono allungate e riuscire a ottenere dal proprio medico anche solo una prescrizione per una terapia non è stato affatto semplice. Nel frattempo, al carico di lavoro che si accumulava durante l’emergenza si è aggiunto pure quello burocratico: dal green pass, alle certificazioni per la quarantena. E la situazione non è ancora sotto controllo. 
 

di Gr. Mel.

La fibbra ottica. I divari mai colmati tra città e province

Mentre il mondo corre verso il 5G e il Wi-Fi 7, la connessione a 40 Gbps che arriverà nel 2024, per connessioni sempre più veloci, l’Italia rincorre. Già, rincorre lo sviluppo della banda larga (e ultralarga) e la possibilità di connettersi a Internet o effettuare una chiamata al telefonino, con il gap tra città e province che in due anni di pandemia è divenuto più marcato. Perché sono sempre di più le zone della provincia italiana servite a singhiozzo o addirittura per nulla dalla possibilità di connessione. In diversi casi si tratta delle cosiddette “aree bianche”, quei luoghi che i gestori della telefonia giudicano meno remunerativi, perché difficili da cablare, come le zone montane. Ecco, in questi due anni di pandemia si poteva cercare di ridurre questo gap per venire incontro alle esigenze delle fasce di persone delle province e delle zone montane, anche se non sono in un numero paragonabile a quelle di una città. Una pezza ha provato a metterla il governo, approvando pochi giorni fa il disegno di legge sulla montagna. E si parte dai servizi di telefonia mobile e accesso a internet, incentivando banda ultralarga e infrastrutture per garantire la continuità dei servizi di telefonia mobile. Un passo per riavvicinare la provincia (e la montagna), alla città.
 

di Gianluca De Rossi

© RIPRODUZIONE RISERVATA