Depressione, ecco l'algoritmo che prevede ansia e disturbi psicologici

Il gruppo di ricerca coordinato da Alessandro Grecucci del Dipartimento di Psicologia e Scienze cognitive dell'Università di Trento ha utilizzato un metodo per costruire un modello cerebrale predittivo

Depressione, ecco l'algoritmo che prevede ansia e disturbi psicologici
di Paolo Travisi
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Lunedì 30 Gennaio 2023, 06:47 - Ultimo aggiornamento: 31 Gennaio, 13:11

L'intelligenza artificiale applicata allo studio delle diverse aree del cervello sarà in grado di predire i disturbi emotivi delle persone, tra cui ansia e depressione, rendendo le diagnosi cliniche sempre più precise. Il gruppo di ricerca coordinato da Alessandro Grecucci del Dipartimento di Psicologia e Scienze cognitive e del Centro interdipartimentale di Scienze mediche dell'Università di Trento ha utilizzato per la prima volta un metodo per costruire un modello cerebrale predittivo, capace di classificare in modo corretto l'ansia dei partecipanti allo studio, anche senza possedere informazioni sul loro stato psicologico.

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Lei coordina il laboratorio Clinical and Affective Neuroscience Lab all'UniTrento, di cosa si occupa?
«Studiamo la vita emotiva del cervello umano per comprendere e spiegare la nostra capacità di elaborare le emozioni, regolarle e convogliarle in azioni e decisioni, sia in condizioni normali che patologiche. Sappiamo che i fallimenti nel percepire, modulare ed esprimere le nostre emozioni sono al centro di moltissimi disturbi psicologici, dall'ansia ai disturbi di personalità.

Nel laboratorio ci sono ricercatori di varie discipline, fisici, ingegneri, psicologi, e nel coordinamento, oltre al sottoscritto, ci sono Irene Messina e Federica Meconi».


Quali tecnologie sono utilizzate?
«Strumenti di neuro imaging, come la risonanza magnetica funzionale e strutturale, l'elettroencefalografia e più recentemente metodi di neurostimolazione per capire dove sono localizzate queste funzioni. Nelle ultime ricerche ci stiamo focalizzando anche nello studio della personalità - un costrutto complesso di schemi cognitivi, comportamentali, affettivi - i cui disturbi ad oggi sono ancora poco compresi, come quello narcisistico, borderline ed antisociale, che può sviluppare anche atti criminosi. Inoltre tramite tecnologie avanzate, come algoritmi di intelligenza artificiale, abbiamo analizzato, e ora siamo in grado di comprendere, il circuito intero che predice il livello di ansia delle persone, la cui intensità è diversa da individuo ad individuo in risposta ad un evento vissuto».


Veniamo alla metodologia che avete usato.
«Registriamo l'attività o la struttura del cervello attraverso i metodi tradizionali delle neuroscienze, la risonanza magnetica, per avere immagini cerebrali di ogni persona e del funzionamento del cervello; successivamente i dati grezzi sono stati inseriti in un computer dotato di una combinazione di algoritmi di machine learning, che elabora quei dati, fornendo dei modelli predittivi in grado di capire quali aree del cervello sono colpite dall'ansia, anche in individui di cui non sappiamo nulla».


E come si è svolto il processo di analisi tramite IA?
«Noi utilizziamo dei metodi che vengono da un ramo del machine learning, già usati in diversi ambiti scientifici, ma anche tecnologici, come gli algoritmi usati dai social o dai siti di e-commerce per predire il comportamento dei suoi utenti. Nel nostro laboratorio abbiamo pensato al cervello come ad un oggetto matematico, la cui struttura può essere scomposta in unità più piccole, per capirne il collegamento al fine di predire un determinato stato mentale. Il machine learning ci ha permesso di comprendere il funzionamento di questo oggetto matematico, il cervello, ed in un secondo momento li abbiamo usati per predire un determinato stato mentale, per esempio l'ansia».


Sembra la trama di un film di fantascienza.
«A lezione, infatti, spesso mostro una sequenza del film Transcendence con Johnny Depp, in cui alcuni scienziati cercano di registrare i suoi dati cerebrali per trasferire la sua mente su un computer ed il nostro metodo è molto simile. Noi registriamo gli stati cerebrali e applicando il filtro dei modelli predittivi cerchiamo di capire se possiamo predire emozioni e personalità».


Ritiene che questo metodo sia valido per tutti?
«Fino ad oggi gli studi neuroscientifici hanno permesso di elaborare una media ideale dei partecipanti, ma che non tiene conto delle differenze individuali, mentre i nostri modelli catturano le caratteristiche cerebrali di singole individualità, per cui avendo imparato da quei dati, sono in grado di predire le caratteristiche di una persona mai esaminata. L'algoritmo, infatti, ha imparato a tollerare le variazioni su base statistica».


Che grado di accuratezza hanno questi modelli predittivi?
«Siamo intorno all'80/90%. L'errore umano è molto più ampio, perché una diagnosi clinica è fatta con questionari, test e colloqui, ma non si ha a disposizione un marcatore obiettivo, mentre il nostro scopo è creare biomarcatori che abbiano un'oggettività diagnostica nell'ottica di una medicina di precisione».


Quale sarebbe il vantaggio?
«Raffinare il trattamento ed il successo terapeutico. In futuro si potrebbero usare questi modelli per diagnosticare precocemente lo sviluppo di futuri problemi o disturbi psicologici, come altri studi stanno già facendo con l'Alzheimer, per esempio. In un nuovo studio sui disturbi dell'adolescenza in collaborazione con l'università di Bordeaux stiamo svolgendo una ricerca su 600 giovani».


Lei ha fatto l'esempio di un film, pensando a Minority Report di Spielberg, si riuscivano a predire i comportamenti violenti, quindi i reati. Possibile?
«La fantascienza a volte si è dimostrata una pre-scienza. Questi modelli possono portare a delle predizioni anche molto precise nel futuro di un individuo, ma si spera che vengano usato a livello preventivo e non nel controllo cerebrale o per pre-arrestarli. Penso invece che sarebbe molto interessante capire se un ragazzo del 2023 possa sviluppare depressione nei prossimi dieci anni, per intervenire in modo precoce, l'arma migliore per garantire una buona qualità di vita alle persone e per ridurre i costi del sistema sanitario».

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