Covid, terapie intensive, allarme del Cts: ricoveri più alti del 20%

Covid, terapie intensive, allarme del Cts: ricoveri più alti del 20%
Covid, terapie intensive, allarme del Cts: ricoveri più alti del 20%
di Mauro Evangelisti
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Giovedì 15 Ottobre 2020, 07:09

Abbiamo un problema, serio, per le terapie intensive. E dentro al Comitato tecnico scientifico sono preoccupati non solo perché la velocità di crescita dei pazienti ricoverati è drammaticamente aumentata, ma anche perché il flusso dei dati a disposizione, sulla cui base vengono prese le decisioni, non è “minuto per minuto”.

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A volte c’è una differenza anche del 20 per cento, tra la situazione in tempo reale e la fotografia delle statistiche ufficiali, costruite con la complessa catena tra aziende sanitarie, Regioni, cabina di regia del Ministero della Salute e dell’Istituto superiore di sanità. Alcune regioni del centro sud, non solo la Campania, sono vicine all’esaurimento dei posti di terapia intensiva riservati ai pazienti Covid.

Non solo: tra i letti aggiunti con il potenziamento delle terapie intensive (3.553 che si sommano ai 5.179 pre Covid) non tutti sono utilizzabili: non ci sono rianimatori, anestesisti, personale.


VELOCITÀ
Non ci siano fraintendimenti: nessuno sta nascondendo i dati, ma il flusso della realtà ha una velocità differente da quella delle comunicazioni tra Regioni e Ministero. Anche limitandosi ai numeri a disposizione, si comprende come la situazione sia precipitata in poche settimane. Primo elemento: mercoledì 16 settembre, escludendo le terapie intensive, negli ospedali italiani c’erano 2.285 ricoverati per Covid, quattro settimane dopo sono diventati 5.470: raddoppiati. Poi ci sono pazienti più gravi. Le terapie intensive ufficialmente hanno 539 ricoverati per Covid. Partiamo dalle percentuali di crescita: tra il 16 e il 23 settembre l’aumento dei pazienti era stato di 37 unità, più 17 per cento. Settimana successiva: l’incremento è di 36 pazienti e restiamo attorno al 15 per cento. Tra il 30 e il 7 ottobre si accende la spia dell’allarme: in una settimana i pazienti in rianimazione aumentano di 57 unità, più 20 per cento. Infine, tra il 7 ottobre e ieri i numeri diventano molto alti: più 202, il 60 per cento di incremento rispetto alla settimana precedente.

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Chiaro? A metà settembre media di 4 nuovi pazienti al giorno in terapia intensiva, oggi 28. Il sistema così non tiene. Apparentemente, rispetto ai 6.500 posti a disposizione in Italia, il dato di ieri, 539, non allarma, ma la realtà è meno semplice di quanto sembri. Prima di tutto, in terapia intensiva non vanno solo i pazienti Covid; inoltre, c’è la necessità di isolare chi è infetto e dunque servono strutture “protette”. Alcune regioni del centro-sud sono in affanno. Prendiamo la Campania: in terapia intensiva ci sono 61 posti occupati su 110 complessivi. Il 7 settembre erano 21, l’incremento è stato di 40 unità. Se permane questa velocità di crescita, fra un mese ci sarà la saturazione. Per quanto riguarda le degenze Covid negli altri reparti siamo a 735 so 820 posti disponibili. Il Lazio ha il dato più alto di pazienti in terapia intensiva, 85, su 200 posti a disposizione. La Sicilia è già a 49. Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe: «C’è frammentazione nella comunicazione dei dati dalle Regioni, il ritardo vale sia per le terapie intensive sia per il ricovero negli altri reparti. Tutte le regioni del centro-sud partivano da una situazione più difficile e rischiano di più. La crescita dei nuovi casi è arrivata alla fase esponenziale da due settimane, quella delle ospedalizzazioni e delle terapie intensive da una».
PRUDENZA
La professoressa Flavia Petrini, oltre a fare parte del Cts, è presidente di Siaarti (Società Italiana di Anestesia Analgesia Rianimazione e Terapia Intensiva) dice che la situazione non è la stessa in tutte le regioni: «Ad esempio, i posti occupati in alcune sono pochi, ma se aumenteranno così rapidamente i pazienti Covid-19, si dovranno sacrificare altre attività assistenziali: siamo tesi nello sforzo di non farlo. Ancora: spesso non è facile trovare il personale e soprattutto quello (a cominciare dagli infermieri) con le competenze necessarie a prestare cure così complesse. Stiamo mettendo in gioco ogni risorsa e strategia. Ma le persone devono capire che serve rigore. Vorrei infine anche chiarire che non tutti i pazienti devono essere intubati, ma ciò non significa che la condizione non meriti un ricovero in terapia intensiva. Lo dico perché su internet si legge di tutto, come se l’indicazione a intubare e ventilare artificialmente potesse essere messa in discussione da chi non è specialista. Ovvio che se possibile si cerca di evitare cure invasive, ma con questa malattia non è semplice. Vorrei solo che i cittadini si rendessero conto dell’elevato livello professionale che caratterizza i nostri ospedali».
 

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