Erano i primi giorni della pandemia da Covid-19, tra febbraio e marzo, quando l'Oms dava le indicazioni sull'uso del tampone. Le linee guida per valutare la positività al virus che aveva, ormai, superato i confini cinesi. «Deve essere effettuato - era scritto - su soggetti sintomatici che sono entrati in contatto con positivi o, in ambito ospedaliero, sul personale che assiste questi pazienti. Anche in assenza di sintomi». Per tutti gli operatori camice impermeabile, occhiali, maschera FFP2 o FFP3, visiera protettiva, cuffia in cui raccogliere i capelli, guanti monouso. Due lunghi tamponi da inserire nelle narici e nella gola. Durante il lockdown si facevano i test molecolari (la ricerca dei frammenti del materiale genetico di cui è composto il virus) quasi esclusivamente alle persone che presentavano segni dell'infezione. Oggi, tre su quattro di coloro che si sottopongono al test non hanno febbre, né tosse né forti dolori. Ma temono, per motivi diversi, di essersi infettati. Sono bastati pochi mesi perché quelle indicazioni iniziali cambiassero e fossero superate.
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LA RAPIDITÀ
Le società diagnostiche hanno così lavorato a ritmo serrato per lanciare ulteriori strumenti in grado di dare risposte attendibili e, soprattutto, sempre più veloci.
LA PREVENZIONE
L'obiettivo ora è affinare la tecnologia in modo che velocizzi il risultato permettendo, anche in giornata, di dare risposte ad un sempre più alto numero di esami. «La funzione del test è fondamentale per decidere il corso di un'infezione - spiega Giorgio Palù professore emerito dell'Università di Padova e ex-presidente delle Società italiana e europea di virologia - perché ci permette di quantificare i contagi, determinare la carica virale e prendere velocemente provvedimenti. Come diceva Pasteur, prima di preoccuparmi di come curare una nuova malattia devo preoccuparmi di prevenirla. Per questo il test dovrebbe essere fatto non oltre le 72 ore dall'esordio dei sintomi. Meglio entro 48 ore. All'inizio della pandemia secondo l'Oms solo i sintomatici trasmettevano il virus. Ma sappiamo ora che non è così. Va, infatti, ricordato che non esiste sempre una relazione tra carica virale e sintomatologia. Anche gli asintomatici possono avere una carica virale alta. E anche contagiare gli altri. Ricordiamo, però, che il 95% non ha sintomi e quindi non si può definire malato. Le persone sono venute a contatto con il virus ma non è detto che trasmettano. Cerchiamo, quindi, di utilizzare al meglio i tamponi antigenici come screening veloci nelle scuole, nei luoghi di lavoro, negli aeroporti e durante gli sbarchi. Sia comunque chiaro che solo evitando gli affollamenti, pensiamo a bus e mezzi pubblici, possiamo contrastare la diffusione di questo virus. Che ha, se si confrontano bene i numeri, una bassa letalità». Ha marchio italiano, DiaSorin, il test diagnostico appena lanciato nei mercati che accettano la marcatura CE e già sottomesso per ottenere l'autorizzazione ad uso di emergenza dalla Fda americana: il LIAISON SARS-CoV-2 AG. L'obiettivo? Rilevare la presenza dell'antigene virale nei pazienti sintomatici, permettendo, così, di supportare la diagnosi nella fase acuta dell'infezione da Covid-19. Il test, inoltre, consentendo di processare elevati volumi di campioni, sarà in grado di supportare la crescente domanda dei laboratori.