Covid, il piano non basta. Mancano fondi e sanitari. «Non siamo preparati a un’altra pandemia»

Aggiornato il documento sulle emergenze. L’attuazione delle direttive demandata alle Regioni: pesano i divari non colmati

Covid, il piano non basta. Mancano fondi e sanitari. «Non siamo preparati a un’altra pandemia»
Covid, il piano non basta. Mancano fondi e sanitari. «Non siamo preparati a un’altra pandemia»
di Graziella Melina
4 Minuti di Lettura
Martedì 7 Marzo 2023, 01:18 - Ultimo aggiornamento: 8 Marzo, 08:46

In caso di nuova pandemia l’Italia sarebbe di nuovo nei guai. E non perché manchi un piano pandemico aggiornato, ma semplicemente perché poco o nulla è stato fatto per mettere in sicurezza il sistema sanitario nazionale. Epidemiologi, medici in prima linea durante l’emergenza e persino fonti istituzionali non ci girano intorno: le linee guida che il ministero mette nero su bianco servono a dare un indirizzo, a delineare cioè le catene di comando, ma poi sul territorio servono risorse e finanziamenti. Il problema è che tutto questo spetta alle Regioni.

Covid, le chat e le nuove accuse: «Lombardia come Wuhan». Ma i locali restarono aperti

E c’è il rischio (concreto secondo gli esperti) che soltanto alcune avranno le possibilità economiche di intervenire, mentre altre resteranno irrimediabilmente indietro. Non solo. Il colpo di grazia al sistema che deve proteggere i cittadini verrà assestato dall’Autonomia.


IL DOCUMENTO
Dopo le polemiche sul mancato aggiornamento del piano pandemico fermo al 2006, ora però un documento ufficiale esiste: il Piano strategico-operativo nazionale di preparazione e risposta a una pandemia influenzale (PanFlu) 2021-2023, elaborato dal ministero della Salute e approvato dalla Conferenza Stato-Regioni, indica in sostanza come «essere il più preparati possibile ad attuare tutte le misure» per contenere l’emergenza sul piano locale, nazionale e globale.

In sostanza, servono prima di tutto una rete di assistenza che sia in grado di rispondere ai servizi sanitari richiesti dall’emergenza pandemica e poi sistemi di sorveglianza e di sequenziamento, e ovviamente presidi adeguati sul territorio. L’elenco delle cose da fare dunque è pronto. Almeno sulla carta.

«Il piano pandemico è indispensabile e fa il punto degli elementi che devono essere messi a sistema – spiega Massimo Andreoni, direttore scientifico della Società italiana di malattie infettive e tropicali e professore di malattie infettive all’Università Tor Vergata di Roma – il problema è che restano ancora le solite criticità. Innanzitutto, i presidi sanitari italiani sono carenti sia strutturalmente che in termini di personale sanitario impegnato. Poi occorre rinforzare le aree cronicamente carenti, come appunto le terapie intensive. Il personale sanitario sia medico che infermieristico è ancora fortemente ridotto». Ma la situazione, purtroppo, non sembra destinata a migliorare. «Queste problematiche - aggiunge Andreoni - non si riescono a risolvere in tempi brevissimi, serve una progettualità in prospettiva. Per quanto riguarda poi la rete di laboratorio e di sorveglianza coordinata dall’Istituto Superiore di Sanità, abbiamo strutture in grado di funzionare bene, ma è importante che venga rinforzata. Resta infine il grande problema della medicina territoriale». Ma allora a cosa serve un piano pandemico se poi nessuno lo mette in pratica? Secondo Pier Luigi Lopalco, ordinario di Igiene all’Università del Salento, il documento stilato dal ministero «permette almeno di attivare le catene di comando. Ed è già un passo avanti. Il problema, però, è che un piano per poter funzionare bene ha bisogno di manutenzione. In sostanza si indica la strada da percorrere, ma poi si demanda alle Regioni tutto il resto: è chiaro che così alcune avranno le risorse per attuarlo, altre invece no. Se vogliamo prepararci ad affrontare al meglio una nuova pandemia, servono insomma finanziamenti appositi, il che vuole dire per esempio aumentare il fondo sanitario nazionale, invece di definanziarlo. L’emergenza Covid ci ha insegnato tanta teoria, sappiamo come affrontare le emergenze dal punto di vista tecnico organizzativo. Ma sul resto non ne siamo usciti più forti e uniti: il fatto che oggi piuttosto che fare questo ragionamento in vista del futuro, stiamo cercando i colpevoli della pandemia, ne è la dimostrazione». In sostanza, il piano c’è, ma ovviamente non basta.


LE EMERGENZE
«Rispetto alle emergenze, dobbiamo mettere in conto anche le prestazioni sanitarie arretrate, che determinano lunghe liste di attesa – ricorda Carlo Signorelli, ordinario di Igiene dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano –. E non si potranno risolvere a breve per la nota carenza di medici. Non dimentichiamo che lo specialista si forma in 10 anni. Solo 2 anni fa sono stati ammessi un numero di immatricolati sufficienti. Questo significa che prima del 2030 non potremmo avere una situazione che si normalizza. Anche sul territorio, poi, la situazione è ancora critica. Pochi medici, ovunque». Intanto, si lavora alle esercitazioni nella catena di comando. «Da poco ne è stata fatta una simulando un evento di emergenza – conferma una fonte del ministero –. In sostanza, ci si allena al coordinamento e si riuniscono le reti, come se ci fosse un’allerta anche minima. Non dimentichiamo che i piani pandemici devono essere sempre aggiornati. Ma - ammette - se uno il piano pandemico ce l’ha solo sulla carta, senza cioè un finanziamento apposito, è chiaro che alla fine funzionerà solo a livello teorico».

© RIPRODUZIONE RISERVATA