Coronavirus, torna da Kyoto
e trova Rieti in lockdown,
la storia di Marco Del Din:
«Anche Venezia nel mio cuore»

Marco Del Din a Kyoto
Marco Del Din a Kyoto
di Lorenzo Quirini
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Venerdì 24 Aprile 2020, 11:51 - Ultimo aggiornamento: 12:00

RIETI - Stare per mesi lontano da Rieti e ritrovarla paralizzata dal lockdown quando si torna. È quello che è successo a Marco Del Din, tornato a fine febbraio dopo 3 avventurosi mesi a Kyoto con una borsa di studio dell’Università Cà Foscari, e subito costretto a casa dalla quarantena

Del Din, la sua esperienza in Giappone l’avrà certamente arricchita sotto moltissimi punti di vista…
«L’esperienza è stata bellissima ed estremamente utile. Spero di aver migliorato la lingua e ho anche imparato molti aspetti del Giappone che non avrei potuto studiare sui libri. È stato ovviamente difficile all’inizio, lo sarebbe stato in qualsiasi altro Paese a causa della distanza da casa, per di più il Giappone si trova a 15 ore di volo dall’Italia e questo mi ha un po’ disorientato; però mi adatto con facilità e presto sono riuscito ad integrarmi nel mio gruppo fatto di persone da tutto il mondo, che forse non rivedrò mai, ma con cui ho condiviso di tutto. Mi sento senz’altro arricchito, sia dal lato accademico che da quello umano: consiglierei a tutti di cercare di ottenere una borsa di studio e andare».

Cosa le manca di più del Giappone?
«I mezzi in orario (ride), ma non i prezzi dei biglietti che lì sono piuttosto proibitivi. Mi manca il cibo visto in Giappone si mangia da Dio quasi ovunque e senza grosse spese: con l’equivalente di 5 euro si va a cena fuori e si mangia bene e tanto (sorride); mi mancano anche tantissimi sapori che in Italia sono impossibili da trovare poiché non ci sono gli ingredienti. Kyoto poi è “La città dei 1000 templi” e mi manca vederne uno ogni 10 passi: potermeli godere tutti per tutto il tempo che voglio, anche durante una semplice passeggiata, non ha prezzo. E ovviamente sento anche la mancanza dei miei amici».

In che maniera la pandemia ha cambiato la sua vita lì?
«Fortunatamente non ho vissuto questo problema in realtà. Sono tornato in Italia il 28 febbraio, ma le misure di contenimento in Giappone sono state irrigidite solo ultimamente: in sostanza io ho vissuto normalmente lì, ma quando sono tornato mi sono reso conto del problema virus perché ho dovuto indossare la mascherina sia in treno che in aereo. Anche l’università che frequentavo ha preso delle misure in linea con le disposizioni governative: non ci hanno mai fatto mancare il disinfettante per le mani, che veniva distribuito gratuitamente nell’istituto. Come è successo in Italia però, anche a Kyoto dopo poco non si trovavano più le mascherine ed altri prodotti. Per quanto mi riguarda ho vissuto il tutto abbastanza serenamente, ma adesso sono piuttosto preoccupato per i miei amici che vivono in Giappone, sapendo che lì si sono adottate misure più blande rispetto all’Italia ed il rischio è più alto».

Sente ancora i suoi amici del Giappone? Che notizie le arrivano da lì?
«Li sento quasi ogni giorno (sorride): sembrano piuttosto tranquilli, anche se sanno che la situazione è grave, ma d’altro canto non possono fare più di tanto. L’università è chiusa anche per loro, cercano di isolarsi il più possibile, anche se a volte continuano a riunirsi a gruppi di 2-3 persone. Per il resto non prendono mai mezzi pubblici ma vanno solo in bicicletta e aspettano gli sviluppi della situazione con un atteggiamento abbastanza tranquillo».

Senz’altro l’impatto emotivo nel trovare Rieti in quarantena, di ritorno da un’esperienza così movimentata provoca un certo spaesamento…
«L’impatto emotivo c’è stato, ed anche abbastanza forte. Al mio rientro l’emergenza non era nel pieno, tuttavia molti intorno a me erano impensieriti dal fatto che io fossi tornato dal Giappone: si tende a pensare che Giappone, India, Cina siano tutti lo stesso posto solo perché si trovano in Asia (ride). Per un primo momento mi sono messo comunque in autoquarantena a casa, soprattutto perché avevo appena affrontato un lungo viaggio fra aeroporti e treni. La differenza tra la mia vita ora e quella di prima è evidente, ma stare a Rieti è sempre piacevole: è una bellissima città ed è il posto in cui sono nato e cresciuto, anche se non è il luogo più vivo e stimolante del mondo, soprattutto in questo momento in cui nessuna città è attiva».

Qual è il suo «Poi Vorrei…?»
«Poi mi vorrei laureare (sorride) e questo virus complicherà le cose anche in questo senso.

Vorrei soprattutto tornare a Venezia perché mi manca; lì ci sono tutti i miei amici che non vedo da un anno, il mio collegio e tutto il resto: voglio tornare a vedere quella che per me è la città più bella del mondo».

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