«Basterebbe accelerare con i vaccini e avere un antivirale efficace per dare scacco e mettere in un angolo Sars-Cov-2 e anche molte sue varianti che oggi ci preoccupano»: così Alessandro Perrella, infettivologo del Cardarelli, sintetizza la strategia migliore per venire a capo delle nuove ondate di Covid-19. Sono sostanzialmente due i gruppi terapeutici sui quali la ricerca sta compiendo passi da gigante: da un lato i farmaci che interferiscono con la replicazione virale e dall'altro quelli che bloccano l'ingresso del virus nella cellula.
Le cure in fase iniziale sono ormai note dopo aver archiviato la stagione del Paracetamolo e della vigile attesa e oggi si basano soprattutto sull'uso di antinfiammatori. All'esordio dei sintomi si usano il cortisone e farmaci antinfiammatori non steroidi (Ibuprofene) accompagnati da un'adeguata protezione gastrica. C'è chi usa in questa fase anche la colchicina associata anche a un antibiotico per prevenire infezioni batteriche. Protocollo mutuato da quello indicato per il trattamento di pericarditi e miocarditi virali di altra origine. Utili, sempre in fase iniziale anche, i trattamenti con integratori della vitamina C (fino a 2 grammi al giorno), la Bioarginina C, la ferritina liposomiale (spray nasale e in capsule), il resveratrolo e taurisolo, con elevato potere antiossidante e antivirale. L'ematologo napoletano Corrado Perriconi, già componente del Consiglio superiore di Sanità suggerisce il dosaggio quantitativo, con una particolare analisi nel sangue, dei livelli di Linfociti T8: «Serve per capire se il soggetto è in grado di affrontare e neutralizzare in fase iniziale l'infezione e se sia suscettibile e a rischio».
Entro dieci giorni dalla diagnosi, nei soggetti a rischio (diabetici, obesi, oncologici) è autorizzato l'uso di anticorpi monocolonali in grado di legarsi alla proteina Spike del virus, chiave di ingresso per dare il via all'infezione. Un ombrello protettivo passivo simile a quello dei vaccini ma senza immunità. Il limite? È il costo e la difficoltà di reclutamento dei pazienti. Attualmente alcuni sono già in commercio altri in fase finale di sperimentazione. A metà luglio Bamlanivimab con Etesevimab sono stati autorizzati per uno studio di fase 3.
Nell'armamentario clinico ci sono poi gli antivirali. Dopo aver sperimentato senza successo alcuni inibitori delle proteasi usati contro l'Aids l'unico sopravvissuto è Remdesivir per pazienti che richiedono il ricovero ospedaliero. Ci sono poi altri due inibitori delle proteasi virali in fase avanzata di sperimentazione utilizzati anche al Cardarelli di Napoli: si tratta di Favipavir e Monlnupinavir. Merck e AstraZeneca stanno pianificando studi clinici in Giappone e le aspettative sono alte. Il rapporto preliminare ha mostrato risultati promettenti. Recentemente sono stati condotti studi in vitro per valutare l'attività antivirale dell'inibitore delle proteasi PF-07321332, che ha dimostrato una potente attività non solo contro l'infezione da Sars-CoV-2, ma anche contro altri coronavirus.
Evidenze sperimentali e cliniche hanno dimostrato che una parte del danno nelle forme severe e mortali è legato ad un'alterata risposta infiammatoria e abnorme rilascio di sostanze pro-infiammatorie. Tra esse l'interleuchina-6 bloccata dalla cosiddetta terapia Ascierto con Tocilizumab che, ad aprile scorso, ha ricevuto l'ok di Aifa alla rimborsabilità nella polmonite da Covid. «Questo significa avverte Ascierto - che la Commissione tecnico scientifica ha ritenuto idonei i dati disponibili sull'esito del trattamento con il farmaco sui pazienti progressivamente gravi». In pista c'è anche Anakinra. La sperimentazione di efficacia e la sicurezza di Emapalumab, anticorpo monoclonale anti-interferone gamma è in fase finale di valutazione.