Caso Vannini, la fidanzata di Ciontoli: «Accanimento mediatico, non sono un mostro»

Antonio Ciontoli
Antonio Ciontoli
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Sabato 12 Maggio 2018, 22:29
«Il primo grado di questo processo mi vede assolta ma chi chiede giustizia dice che sono colpevole e che merito un trattamento crudele. Quello che è successo ha cambiato profondamente la mia vita lasciando un segno che porterò per sempre e con questa consapevolezza affronto il giudizio in tribunale». E' lo sfogo di Viola Giorgini, la fidanzata di Federico Ciontoli, condannato, con la madre e la sorella Martina (fidanzata della vittima), per omicidio colposo in relazione alla morte di Marco Vannini, ucciso il 17 maggio del 2015 a Ladispoli mentre si trovava a casa della fidanzata.

Il giovane di 21 anni venne colpito da un colpo di pistola sparato dal padre della fidanzata, mentre si trovava in una vasca da bagno: un colpo solo, ma che risultò fatale visto che nessuno dei presenti in casa chiamò tempestivamente i soccorsi che avrebbero permesso di salvargli la vita. I giudici della I Corte d'Assise di Roma hanno assolto Viola Giorgini. La giovane, in una lettera pubblica,  lamenta il modo con cui alcuni media hanno affrontato il caso. «Fin dall'inizio di questa storia si è svolto un processo mediatico parallelo al processo giudiziario, che vede coinvolti diversi programmi televisivi, i quali con toni molto accesi, sono arrivati dritti al cuore degli spettatori. Purtroppo mi sono sempre trovata a dover »scappare« dalle telecamere - scrive -, senza altra ragione se non quella di fuggire da un meccanismo del quale non voglio far parte.
Questo non perchè io non creda nel diritto di cronaca ma perchè mi è sempre sembrato inumano il modo violento con cui i giornalisti hanno cercato di »estorcere« false confessioni o atteggiamenti facilmente giudicabili, con l'intento di costruire castelli di bugie». «Finora il processo mediatico - scrive ancora la ragazza - non è sembrato volgere alla veridicità dei fatti, ha inventato e distorto con fantasiose ricostruzioni la realtà, anche avendo a disposizione documenti che le smentivano, con conseguenze forse insanabili. E credo che questo sia stato fatto perchè nutrirsi delle sofferenze per scopi televisivi è più semplice e più di impatto emotivo. I programmi televisivi sono responsabili non solo di quello che dicono, ma anche di quello che suscitano, e le loro parole hanno generato un forte sentimento di rabbia, di sfiducia nella legalità e di vendetta». «L'accanimento e la denigrazione sono il frutto di influenze e convinzioni che mi vedono descritta come il mostro che in realtà non sono. Solo che non ho mai potuto dimostrare il contrario perchè la battaglia mediatica è una battaglia persa in partenza..Con questa lettera spero che possiate spiegarmi se essere giornalista significhi essere come ho sopra descritto o come credo che qualcuno di voi sia: rispettoso dell'uomo, dei suoi diritti e sincero con il pubblico al quale si rivolge».
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