Zona gialla, quali regioni rischiano? Il piano del governo (e le micro zone rosse)

La valutazione prende in considerazione un ritorno al passato, alla fase 1

Zona gialla, quali regioni rischiano? Il piano del governo (e le micro zone rosse)
Zona gialla, quali regioni rischiano? Il piano del governo (e le micro zone rosse)
di Stefania Piras
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Sabato 13 Novembre 2021, 11:08 - Ultimo aggiornamento: 15:53

Piccole, chirurgiche modifiche per limitare i contagi, in aumento da tre settimane consecutive. Oltre all'idea del Green pass a due velocità, c'è anche questa misura: micro zone rosse dove compaiono focolai, il tasso di positività si alza e minaccia la capacità di resilienza dei servizi sanitari. Secondo l'ultimo rapporto Iss su 21 regioni, 17 registrano focolai in aumento. E ci sono 60 province che negli ultimi sette giorni hanno registrato un aumento dell'incidenza almeno del 40% rispetto ai sette giorni precedenti.

Tra le dieci province con i valori maggiori nove sono nel Nord Est del Paese: tre nel Friuli Venezia Giulia (Trieste 474, Gorizia 367, Udine 150 e Pordenone109 ), tre nel Veneto (Venezia118, Treviso 111 e Vicenza 112), la provincia autonoma di Bolzano (318) e due in Emilia Romagna (Forlì-Cesena 179 e Ravenna 121). 

Nelle province e i distretti Asl dove ogni giorno si compilano i bollettini dei contagi sanno quando i numeri si alzano o si abbassano. È attraverso questi numeri che potrebbero scattare micro zone rosse con apposite ordinanze varate dai presidenti di regione o dai sindaci: lo abbiamo già visto in Sicilia durante l'estate, dove intere città sono rimaste "rosse" per diverse settimane. Una misura così drastica, infatti, serve per limitare i contatti, per far "respirare" gli ospedali, specie se arrivano pazienti contagiati e non vaccinati che vanno incontro più frequentemente a complicanze. E serve anche per limitare la circolazione di varianti. 

I parametri per decidere il cambio dei colori sono sempre: incidenza, saturazione dei reparti medici e delle terapie intensive. I focolai sono una spia epidemiologica preziosa a livello locale: fanno capire se la situazione può peggiorare o se invece è sotto controllo. Una delle frasi chiave dell'ultimo monitoraggio Iss è questa:  «In forte aumento il numero di nuovi casi non associati a catene di trasmissione (11.001 vs 8.326 della settimana precedente). La percentuale dei casi rilevati attraverso l’attività di tracciamento dei contatti è in diminuzione (34% vs 35% la scorsa settimana)». 

Anche sulle oscillazioni dell'indice Rt gli scienziati sono estremamente prudenti perché si tratta di stime. Nell'ultimo rapporto Iss si legge un'altra precisazione che fa capire il livello di allerta: «Si ritiene che le stime di Rt siano poco sensibili al recente aumento del numero di tamponi effettuati, poiché tali stime sono basate sui soli casi sintomatici e/o ospedalizzati». Vuol dire che fuori dal computo dei tamponi rimangono casi non tracciati o  comunque associati a potenziali catene di trasmissione non note ai servizi sanitari. Un modo per dire che chi compila i bollettini teme una circolazione del virus non immediatamente riscontrata e riscontrabile, e quindi potenzialmente pericolosa, soprattutto se riguarda persone che hanno scelto di non vaccinarsi. 

Se la situazione dei contagi peggiora, c'è la possibilità di tornare al passato. «In presenza di focolai, la presenza di nuovi casi di infezione non tracciati a catene note di contagio richiede una valutazione del rischio ad hoc che definisca qualora nella regione vi sia una trasmissione sostenuta e diffusa tale da richiedere il ritorno alla fase 1». Tradotto: se il quadro non migliora si ritorna a quando si combatteva il virus "a mani nude", senza vaccini: la fase 1 infatti è quella denominata "Rallentamento della diffusione con misure di contenimento". Ora siamo ancora in fase pandemica: la fase 2, la transizione con rimodulazione delle misure di contenimento. L'obiettivo sarebbe la fase 3 e la fase 4: sviluppo dell' immunità e sospensione delle misure di distanziamento fisico. 

Focolai

Esempio più recente: la Calabria è l'unica regione classificata «a rischio basso» mentre tutte le altre hanno un  rischio moderato e il Friuli Venezia Giulia viaggia verso il rischio alto. La Calabria esce indenne, come tutta l'Italia per ora, dal possibile cambio colore: rimarrà bianca. Eppure negli ultimi giorni ha evidenziato segnali di criticità. L'Azienda sanitaria provinciale di Crotone,  appena una settimana fa, ha chiesto al presidente della Regione Calabria di istituire per dieci giorni la zona rossa nel comune di Isola Capo Rizzuto. Ottanta contagi rapidissimi, registrati nel giro di una settimana, hanno acceso il campanello d'allarme. Le autorità sanitarie provinciali hanno calcolato «un valore di incidenza superiore alla soglia di allerta in rapporto alla popolazione residente». Al punto da ipotizzare «l'esistenza di multipli focolai in espansione» e chiedere, dunque, l'istituzione di una zona rossa allo scopo di «produrre effetti di stabilizzazione e controllo di ulteriori contagi».

In Friuli Venezia Giulia la zona gialla la chiedono i rianimatori, tornati sotto pressione.  «La situazione dell'aumento dei casi Covid è drammatica e a questo punto serve la zona gialla», ha detto due giorni fa Alberto Peratoner, presidente del sindacato degli anestesisti rianimatori Aaroi-Emac del Friuli Venezia Giulia. «C'è un incremento progressivo dei ricoveri ospedalieri - sottolinea all'Adnkronos Salute - a media e bassa intensità, ma siamo sopra il 10% di occupazione dei posti letto in terapia intensiva. Su questo fronte l'incremento è più lento, 1 caso ogni 24-48 ore, quindi c'è ancora margine, ma se ci sarà un improvviso aumento dovremmo chiedere aiuto».

Le Marche hanno il 10% di terapie intensive occupate da pazienti Covid. La provincia autonoma di Bolzano ha i reparti ordinari pieni al 13,6% e le terapie intensive al 6,3%. In Alto Adige c'è anche un'incidenza alta: 369 su 100mila abitanti. Il Veneto ha un'incidenza di 115 positivi su 100mila abitanti, ben oltre la soglia di 50. 

C'è il caso del maxi focolaio sardo a Sassari, in Sardegna, scaturito dopo un pellegrinaggio di 180 fedeli a Medjugorje. Insegna, per l'ennesima volta, quanto è facile e rapida la propagazione del virus in mancanza di protezioni, ma insegna soprattutto come si muove la macchina sanitaria e politica quando scoppia un focolaio.  Ciò che preme capire ai sanitari e agli scienziati che poi devono fornire un parere al governo è quanto si possa effettivamente tenere sotto controllo un cluster (focolaio). 

In Valle d'Aosta stanno cominciando a erigere barriere difensive nelle case di riposo, che come si ricorderà sono considerati luoghi ad altissima concentrazione di vulnerabilità (pazienti  anziani con più patologie). Il presidente della Regione, Erik Lavevaz,  ha firmato un' ordinanza che prevede la temporanea sospensione da lunedì prossimo al 3 dicembre  delle visite dei familiari e le uscite degli ospiti per motivi non sanitari. Il divieto ha lo scopo di ottenere, compatibilmente con l'evolversi della situazione epidemiologica, una risposta anticorpale efficace degli ospiti e degli operatori a seguito della somministrazione della terza dose vaccinale attualmente in corso.

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