Al Senato sorrisi e “vaffa” in aula: lo spettacolo surreale del Paese appeso a Ronzulli

Il nervosismo di Berlusconi mette a nudo la sconfitta. Giorgia: «Si sono suicidati»

Al Senato sorrisi e “vaffa” in aula: lo spettacolo surreale del Paese appeso a Ronzulli
Al Senato sorrisi e “vaffa” in aula: lo spettacolo surreale del Paese appeso a Ronzulli
di Mario Ajello
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Venerdì 14 Ottobre 2022, 06:58 - Ultimo aggiornamento: 07:00

Festosi, ma insieme preoccupati a destra. Depressi, ma insieme speranzosi - «Questi non mangiano il panettone», assicura Calenda - nelle opposizioni o almeno in quella terzopolista, visto che i dem sembrano semplicemente accasciati e intenti a leccarsi le ferite. Basta vederli quando vanno alla toilette a Montecitorio e vorrebbero non uscirne più: «Siamo irrilevanti, inutili, dannosi», dice un big ex Ds dopo aver fatto i suoi bisogni, e avrebbe bisogno di una psicologa possibilmente caruccia. La fotografia della doppia difficoltà italiana - dove comunque «si sta meglio da vincitori che da sconfitti», come diceva Andreotti polemizzando con Churchill convinto invece che «i problemi dei vincitori sono meno dolorosi ma non meno impegnativi di quelli degli sconfitti» - sta al Senato nel ribaltamento dei ruoli che, di colpo, s'appropria della scena: un pezzo di minoranza fa la maggioranza e un pezzo di maggioranza (i berlusconiani) fa l'opposizione.

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E se La Russa lo eleggono anche qualche dem e qualche centrista e qualche renzian-calendiano, invece di dare un segnale forte di contrarietà e di lotta dura senza paura, quel segnale viene da Berlusconi che in antipatia a Giorgia e in amore per Licia si sfila dal governo che ancora non c'è e dice: «Era giusto dare un messaggio di avvertimento». Che poi è quello che Meloni, la quale segue l'impazzimento di Palazzo Madama dal suo ufficio al settimo piano di Montecitorio dove al mattino ha visto Silvio e il faccia a faccia è andato malissimo causa Ronzulli, derubrica a «suicidio». «Forza Italia si è suicidata», dice infatti la premier in pectore ai suoi. E il ragionamento prosegue più o meno così: ora o Berlusconi si adegua o noi andiamo avanti e si è visto che siamo capaci di farlo anche senza di lui. E con il gioco di sponda con la Lega a cui la super offerta di sei ministeri fa gola e il divide et impera di Giorgia evidentemente funziona.
LA SCENA
E comunque: la scena è riempita da Silvio che doveva essere il matador e invece ne esce battuto, voleva la prova di forza ma Giorgia è stata più forte di lui.

Sia perché «Licia non avrà un ministero», come amaramente ammette lui uscendo dal Senato. Sia perché il centrodestra si è accordato alle sue spalle con altri e a lui non resta che prendersela con La Russa («Ma vaffanc...»), battere i pugni sul tavolo, muovere nervosamente le gambe sotto lo scranno, rovinarsi con cupezza la sua rentreé in Senato e occhio a questa scena. Casellati e Sisto, papabili Guardasigilli, gli vanno a dire al primo banco che deve essere più determinato nella trattativa, cosa che lui già cerca di essere, e Silvio un attimo dopo appena gli si avvicina La Russa sembra in preda a una rabbia che non gli si conosceva pubblicamente e sbotta con il vaffa. Preceduto da queste parole: «Mi avete preso in giro fin dall'inizio. Ma ora basta».

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Licia è seduta alla sua sinistra, in tailleur pantaloni rosso fuoco. E prima di poter baciare o salutare lui, tutti devono passare da lei e oltrepassare la diga Ronzulli. E che strano Paese quello in cui si rischia una crisi del governo che ancora non c'è, quello in cui potremmo morire di freddo a causa della crisi energetica e dove le bollette sono diventate supersoniche, la guerra ci abbaia alle porte di casa e l'inflazione schizza, ma il dove metto Licia - da nessuna parte, ha ampiamente risposto Giorgia - diventa la questione su cui il Palazzo si blocca o almeno s'ingarbuglia. E in cui uno statista di lungo corso come Silvio, anzi un personaggio storico, arriva a dire in tono magniloquente «non accettiamo veti» e si riferisce a un veto solo, personale e risibile, qual è quello riguardante la sua assistente. La quale però, memore dello scontro che ebbe con La Russa per una sedia - durante la presentazione del candidato sindaco milanese Bernardo lei voleva far sedere in prima fila Salvini al posto di Meloni, e Ignazio sbottò: «Non me ne fotte niente, alzati, quel posto non è vostro!» - non accetta di vedere il rivale sullo strapuntinone da seconda carica dello Stato. L'Italia che deve combattere contro la recessione e la povertà chissà che cosa penserà di queste storie e non ne penserà molto bene. Su questo si fa forte Giorgia: basta manfrine politichesi e politicanti, dotiamoci subito di una squadra istituzionale e di governo e mettiamoci a lavorare presto e bene.
E se la caccia ai 101 sicari di Prodi per il Colle aveva una sua nobiltà, ce l'ha di meno la ricerca di chi ha aiutato La Russa a diventare presidente del Senato. Tutti dicono Renzi, lui nega, e si vedrà. Ma se diventerà vicepresidente del Senato tutti grideranno: eccolo là, è stato ricompensato per l'aiutino a Gnazio. Il quale, come dice Berlusconi, «non poteva non sapere» che si stavano cercando per lui - o lui cercava direttamente per se stesso - i voti misteriosi per eleggerlo allo scranno più alto di Palazzo Madama. Dove a metà mattinata, appena Giorgia ha capito che la situazione poteva ingarbugliarsi, vengono mandati da Montecitorio i fedelissimi meloniani Lollobrigida e Donzelli per vigilare sull'eventuale trappola di Silvio, e appena vedono che la trappola ci sarebbe stata si impegnano per evitarla, parlando un po' con tutti come si fa nella vita parlamentare.

 


LA CORONA
E' un po' tragicomico insomma questo esordio di legislatura. In cui però Meloni ostenta una pacatezza invidiabile. S'intrattiene per quasi mezz'ora con Giorgetti in aula, si fuma le sue sigarette con Cirielli sulla porta del cortile di Montecitorio e ogni tanto alza le braccia per sgranchirsi e tende le gambe per lo stesso motivo e magari si sta preparando - e lo vuole far vedere - al prossimo combattimento con il Cavaliere che pretende di avere la Giustizia, ma lei non molla Nordio, e come s'è riuscito a vedere ingrandendo il foglietto poggiato sullo scranno di Silvio lui vuole anche molto altro: Politiche Europee, Rapporti col Parlamento o Turismo per Licia, più Tajani agli Esteri e Cattaneo all'Ambiente.
Tra i più omaggiati della giornata c'è il forzista Lotito, gongolante per essere finalmente diventato senatore (molti gli si avvicinano e gli fanno: «Questa Lazio?») ma resta lucido: «Oggi è successo un casino. Ho visto Renzi che col sorrisetto ci va dicendo: siete dei dilettanti. E guardate il discorso che ha fatto Ignazio appena eletto. Parlava a loro e ringraziava loro, no?». Forse. Ma intanto c'è stato Franceschini in pellegrinaggio da Silvio prima del «casino» e il Cav: «Quanto sei brutto con quella barba». Renzi si fa la foto con Berlusconi come a volerlo rassicurare che lui non avrebbe avuto colpe su ciò che sarebbe accaduto. Mentre a Montecitorio si respira un'altra aria. Magari perché c'è il surrealismo alla Fascina che sparge il suo alone di tranquillità o di inconsapevolezza tra Transatlantico ed emiciclo: «Mi piace molto questa compattezza del centrodestra», dice lei con in testa un cerchietto di brillanti che pare una corona probabilmente donatagli dal semi-consorte che ieri ha sfoggiato di nuovo la fede al dito anulare che l'altroieri non aveva e tutti a malignare in slang: «Silvio e Marta si sono accannati?». Macché. Qui si rischia che s'accannino Silvio e Giorgia, che del resto non si sono mai piaciuti troppo.
 

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