Roma e la voglia di risposte concrete: l’impegno finale di Calenda, Gualtieri, Michetti e Raggi

«Ogni romano un Nerone», Grillo prova a far ridere, ma nella Capitale si chiede serietà

Roma e la voglia di risposte concrete: l’impegno finale di Calenda, Gualtieri, Michetti e Raggi
di Mario Ajello
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Venerdì 1 Ottobre 2021, 19:27 - Ultimo aggiornamento: 3 Ottobre, 10:30

Il primo ciak, nel lungometraggio dell’ultima giornata di campagna elettorale, è quello del mattino a Spinaceto. I maggiorenti del centrodestra, compresi Cesa, la Binetti, Durigon, Urso, e sono in arrivo oltre al candidato Michetti i tre leader Salvini, Meloni e Tajani, prendono un caffè e il barista si rivolge loro così: «Non ve lo dico perché sono communista ma perché sono romano. Se al Campidoglio c’andate voi, non vi mettete a chiacchierare e a litigare e rimboccatevi semplicemente le maniche».


L’ultimo flash, della lunga giornata con i quattro comizi dei quattro candidati, è quello della notte in cui si smonta il palco della Raggi a Piazza della Bocca della Verità e tra la folla che va via soddisfatta dell’esibizione della sindaca serpeggiano le domande: «Ma l’avete sentita la telefonata di Grillo? Dice che tutti noi romani sappiamo solo distruggere e siamo tutti dei Nerone in miniatura.

Ma è pazzo?».

«Hai ereditato una città straordinaria ma perversa, Roma vive nel passato, ogni romano è un Nerone in miniatura, suona e se la canta, dice “li mortacci” e dietro le spalle l’apocalisse», aveva celiato poco prima collegato in voce il fondatore, lasciando la piazza basita.

Video

Carlo Calenda

C’è voglia di serietà e non di comiche amenità. La gente nelle quattro piazze è poca - quello di Michetti è solo un punto stampa, Gualtieri con Zingaretti a San Basilio sceglie un profilo di quartiere, Calenda è l’unico da bagno di popolo a Piazza del Popolo piena anche di giovani, mentre la Raggi si tuffa sulla sua gente che non è una massa oceanica - ma al netto dei precettati, dei clientes e dei dirigenti di partito, chi si affaccia a questi eventi ha un atteggiamento allo stesso tempo fiducioso e guardingo. «Roma va cambiata, ora o mai più», dicono a Zingaretti di fronte ai palazzoni di San Basilio e lui sorride e acconsente: «Non ditelo a me.... Sono d’accordissimo!».

Roberto Gualtieri

La parola chiave di tutti è «competenza», la mia competenza contro la tua: e già questo è un buon punto di partenza che coincide, almeno nei propositi, all’esigenza dei romani che ormai se ne infischiano delle ideologie e chiedono ai migliori di dare a Roma ciò che è di Roma. Fidarsi della politica, ci si riprova. Ma c’è come un’urgenza, quella di voler vedere al più presto le promesse che diventano fatti.


E Michetti? Viene fermato da una vecchietta, Flaminia, pensionata, davanti al bar di Spinaceto. «Dotto’», gli fa la signora, «se mi fa vedere il disegno della prossima linea della metropolitana io il voto a chi la farà glielo do. Ma manteneteli gli impegni, sennò perdiamo tempo sia noi sia voi». Discorso perfetto e più politico di ogni politica bla bla. A non fare una piega è il mood dei romani alla vigilia di un voto cruciale e di un periodo fondamentale per Roma - basti pensare al trittico investimenti post-Covid del Pnrr, Giubileo 2025, possibile Expo 2030 - e questo mood è quello che romanescamente è sintetizzabile nel famo a fidasse: ok, serve più politica, siamo disposti a dare ancora la delega ma la vogliamo riempita di cose, di cambiamento vero, di attitudine pragmatica - rifare le strade, ristabilire il decoro, non far raccogliere la spazzatura dai cinghiali, costruire le infrastrutture, ridare slancio alle imprese, al commercio piccolo e grande, al turismo, alla dignità e all’orgoglio di una Caput Mundi - e «meno risse e più competenze». Appunto. 


È una città vogliosa di serietà quella che aspetta di andare alle urne. Come dicono i Ciocci, una famiglia arrivata ad ascoltare tra i palazzoni di San Basilio il comizio di Gualtieri. E non hanno tessere se non quella del buon senso. La stessa che, tra chi partecipa ai comizi, chi li ascolta da lontano, chi li snobba, chi preferisce restare a casa magari a leggere sul video o su carta le proposte di governo in campo, accomuna la gran parte dei romani. «Faremo di più e miglioreremo anche noi stessi», promette la Raggi. Ma Grillo - in attesa dell’arrivo di Conte e Di Maio - le dice: «Se perdi avrai comunque un posto di comando in M5S». «Io non perderò, caro Beppe», replica lei un po’ piccata.
Questa Capitale, in questo giorno speciale, è insieme valle di lacrime e possibile scenario di resurrezione.

Enrico Michetti


Si siedono in ultima fila all’evento del centrodestra una paio di anziane. Vogliono ascoltare i programmi di Michetti e a un certo punto sbottano contro cronisti e operatori tivvù: «Fateci ascoltare se hanno un’idea su Roma invece di divertirvi a stuzzicarli sul niente». Cioè sulle zuffe tra Salvini e Meloni che ieri però hanno ritrovato la pace («ma non pomiciamo», assicura il capo leghista).

Virginia Raggi


Arriva la notte, tutti hanno rivendicato la supremazia della propria «grande impresa» - così chiamano il possibile onore di guidare l’Urbe, «ma tanto ritocca a me», giura la Raggi - e Calenda tornando a casa dice a tutti «incrociamo le dita», Gualtieri manda ai suoi messaggini con su scritto “Keep Calm” (non cantiamo vittoria troppo presto) e Michetti si gode l’idea di poter magari guardare i suoi amati Fori Imperiali dal famoso balconcino dello studio del sindaco. Ma i romani per ora stanno acquattati, e hanno deciso o forse ancora no.

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