Giorgia Meloni ha trascorso la giornata al telefono, chiusa nel suo studio a via della Scrofa. E, dicono i suoi, «resterà in ritiro» fino a domenica. Per cominciare a «disegnare la squadra di governo». E per «decidere le priorità, i primi provvedimenti da prendere» una volta che, entro fine ottobre, si sarà insediato il nuovo governo.
Tra gli interventi prioritari «c’è sicuramente il disaccoppiamento del prezzo di luce e gas». Ovvero la sterilizzazione, almeno parziale, dell’effetto della corsa del metano sui prezzi dell’energia prodotta da altre fonti. Una misura volta ad abbassare l’impennata delle bollette elettriche che strozzano imprese e famiglie, che «si può fare con un norma nazionale, senza aspettare l’Unione europea», ha detto e ripetuto la premier in campagna elettorale. Nella speranza che nel frattempo Bruxelles vari quel tetto al prezzo del gas invocato fin dalla primavera scorsa da Mario Draghi.
In queste ore, però, l’entourage di Meloni lavora a stringere un «rapporto di collaborazione» con il premier e con il ministero dell’Economia.
TEMPI PIÙ AMPI
Comunque un po’ di tempo c’è. Il termine del 15 ottobre per inviare a Bruxelles lo schema della manovra economica è confermato. Ma la Commissione permetterà a Meloni di correggere in corsa la bozza che verrà presentata da Franco. «Il governo uscente può presentare un piano di bilancio “provvisorio” senza apportare cambiamenti alle politiche in vigore», spiega il portavoce della Commissione Ue Veerle Nuyts, «mentre il nuovo governo potrà poi presentare un piano di bilancio aggiornato una volta entrato in carica». Quando? «Almeno un mese prima che la nuova legge di bilancio venga approvata dal Parlamento nazionale». Vale a dire entro novembre.
La manovra economica, su cui hanno già messo la testa Meloni e lo stesso Leo, responsabile economico del partito, non sarà rivoluzionaria. Dovendo rassicurare i mercati e fronteggiare una congiuntura tutt’altro che positiva, tra inflazione, rischi di recessione e crisi energetica, la promessa premier si muoverà nel solco tracciato da Draghi. Dunque massima prudenza sul deficit e poche misure identitarie. Sì al taglio del cuneo fiscale sul lavoro (più precisamente dell’estensione di quello già deciso dall’attuale esecutivo), sì a una rivisitazione del reddito di cittadinanza (a costo zero) prevedendo la soppressione se si rifiuta una sola offerta di lavoro (ora i rifiuti devono essere due). E forse l’aumento della flat tax da 65mila a 100mila euro per gli autonomi. Ma niente tassa piatta, per ragioni di bilancio, sugli incrementi di reddito. Insomma, prevarrà la prudenza.
Del resto, i margini di manovra sono abbastanza stretti. Non solo per la scelta di non spaventare commissione europea e investitori. Il fatto è che una serie di misure sono in pratica già scritte. Oltre alle consuete spese indifferibili di ogni anno, come quelle relative alle missioni militari all’estero, andranno riproposte diverse misure anti-crisi messe in campo dal governo Draghi. Ed anzi, prima ancora della formalizzazione della legge di Bilancio, vari interventi in vigore fino a novembre dovrebbero essere prorogati nel mese di dicembre. La relativa copertura finanziaria è attesa da ulteriori effetti positivi delle maggiori entrate fiscali già registrate.
LO STANZIAMENTO
La lista della spesa prevede poi un cospicuo stanziamento per la nuova tornata di rinnovi contrattuali, dopo quelli che si stanno formalizzando in questi mesi: servono almeno 5 miliardi, che però potrebbero essere distribuiti su più anni. Senza contare che ci sono voci che pur non facendo parte in senso tecnico della manovra andranno a gonfiare il deficit tendenziale e quindi a togliere spazio finanziario ad altri provvedimenti: è il caso dell’adeguamento delle pensioni all’inflazione che scatterà per legge da gennaio e con questa crescita dei prezzi vale da sola circa 9 miliardi aggiuntivi. E delle uscite più pesanti che inevitabilmente si manifesteranno per i maggiori interessi sul debito pubblico in conseguenza del rialzo globale dei tassi.
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