Manovra, le perplessità del Quirinale. Lega-M5S, lite sulle coperture

Manovra, le perplessità del Quirinale. Lega-M5S, lite sulle coperture
di Alberto Gentili
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Sabato 22 Dicembre 2018, 00:22
ROMA A palazzo Chigi, in un crescente imbarazzo, smentiscono una nuova zuffa tra Matteo Salvini e Luigi Di Maio. Questa volta su come e dove trovare le coperture con cui finanziare alcune misure della manovra economica. Inclusa, si dice, perfino “quota 100”. E tutti scaricano la responsabilità del ritardo monster accumulato dalle legge di bilancio sulla Ragioneria generale: «Deve bollinare tutte le modifiche concordate con Bruxelles, ci vuole tempo...».

Di certo, c’è che il nuovo rinvio a oggi del voto di fiducia del Senato, rivela le grandi e gravi difficoltà in cui annaspa il governo giallo-verde. Dopo mesi di battaglia con Bruxelles, Giuseppe Conte, Salvini e Di Maio sono stati costretti alla ritirata e a dover riscrivere da capo la legge di bilancio. Sergio Mattarella, che ha lavorato silenziosamente all’intesa con la Commissione europea per scongiurare la procedura d’infrazione, ha mostrato la massima comprensione. Ma anche dal Quirinale ieri sera - dopo che il previsto voto di fiducia è ulteriormente slittato impedendo per la prima volta al Parlamento di leggere e analizzare la legge di bilancio prima di votarla - è filtrata più di una perplessità. Perché, come ha ricordato mercoledì il capo dello Stato, il Parlamento svolge un ruolo centrale in quanto rappresentante della volontà popolare. «E se gli si impedisce di adempiere ai suoi compiti, come l’analisi di provvedimenti importanti quali la legge di bilancio, ciò non è positivo. Tutt’altro», dice una fonte autorevole che in queste ore ha parlato con il Presidente.

DISTANTI SUL COLLE
Un richiamo felpato che Di Maio incassa («Mattarella in questa vicenda è stato l’angelo custode del governo»), Salvini accoglie mal volentieri (il leader leghista mercoledì ha disertato la cerimonia sul Colle, rimarcando la distanza dal capo dello Stato) e Conte, che ha dovuto rinviare di nuovo la conferenza stampa di fine anno «alla luce del prolungamento dei tempi di approvazione della legge di bilancio», prova a ridimensionare: «Ci sarebbe piaciuto lasciare più margini al Parlamento, ma la trattativa è stata tra due parti e non è colpa nostra se il via libera di Bruxelles è arrivato solo mercoledì. Io avrei concluso in ventiquattr’ore».
Sullo sfondo, poi, resta il problema di sempre. Le due misure di bandiera, il reddito di cittadinanza e “quota 100” per le pensioni, ormai sono destinate a entrare in vigore ad aprile per permettere i risparmi di spesa sollecitati dalla Commissione. Ma ancora non si sa quando verranno varati i due decreti che dovranno disciplinare modi e tempi per l’entrata in vigore dei due provvedimenti: «Speriamo di farcela tra il 10 e il 15 gennaio», dice un viceministro che segue il dossier.

Sia Di Maio che Salvini, impegnati a negare che abbiano fatto retromarcia, non nascondo la loro irritazione. Il capo grillino, alle prese con il malcontento montante nel Movimento, è tornato a parlare di marzo. Il leader della Lega, invece, convinto di avere in tasca per il primo aprile “quota 100” per i lavoratori privati, adesso spinge per anticipare a giugno (rispetto a ottobre) il pensionamento dei dipendenti statali. Non a caso, di buon mattino, ha dichiarato: «Corro a Roma, oggi è un giorno decisivo, vado a presidiare affinché la legge Fornero sia smontata pezzo per pezzo».

«ABBATTERE LA GABBIA UE»
Il problema vero è che 5Stelle e Lega si trovano costretti a operare nella gabbia costruita da Bruxelles. Quella che prevede tre fasi di controllo (gennaio, aprile, luglio), con in palio lo “scongelamento” di 2 miliardi bloccati dalla Commissione e soprattutto la clausola di salvaguardia dell’Iva che, se non sterilizzata, porterebbe nel 2020 l’aliquota massima dal 22 al 25,5%. Ebbene, la speranza di Di Maio e Salvini è che le elezioni europee di fine maggio portino una vittoria dei partiti populisti per spedire in archivio l’austerità e «gente come Dombrovskis», l’arcigno vicepresidente della Commissione. «Anche perché», dice un viceministro leghista, «nel 2020 dobbiamo fare anche la flat-tax...».
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