Giuseppe Conte, la tentazione adesso è di uscire dal governo Draghi

L'ex premier pensa di uscire dal governo Draghi

Giuseppe Conte, la tentazione di uscire dal governo Draghi
Giuseppe Conte, la tentazione di uscire dal governo Draghi
di Alberto Gentili
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Domenica 6 Giugno 2021, 21:29 - Ultimo aggiornamento: 8 Giugno, 10:26

Nulla è ancora deciso. Da qui alla fine del mese Giuseppe Conte deve preparare il nuovo Statuto e la Carta dei principi e dei valori. E, soprattutto, deve essere eletto leader M5S. Eppure, da qualche giorno, si fa sempre più insistente la voce che vorrebbe l’ex premier tentato di imporre «una svolta radicale» alla linea del M5S. 
Il primo step sarebbe sancire «una distanza visibile» da Mario Draghi, verso il quale l’ex avvocato del popolo non ha mai nascosto un certo risentimento per lo sfratto da palazzo Chigi di cui l’ex capo della Bce è stato incolpevole protagonista. Il M5S a guida contiana comincerebbe insomma a fare come la Lega di Matteo Salvini, che non ha risparmiato e non risparmia nulla al governo su riaperture, migranti e giustizia. Conte diventerebbe una vera e propria spina nel fianco di Draghi, sia per recuperare identità, sia per far sentire «forte la voce del Movimento», come dire un senatore vicino al leader M5S. E l’annuncio dovrebbe avvenire alla convention di luglio prevista a Roma.

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Il secondo step, dopo questa escalation che dovrebbe avere il suo apice verso fine luglio, sarebbe l’uscita dal governo. Già fissata la data: il 3 agosto, giorno in cui scatterà il semestre bianco e Sergio Mattarella non potrà più sciogliere il Parlamento e spedire a casa deputati e senatori con quasi due anni di anticipo. 
Che l’idea non sia peregrina è dimostrato da una dichiarazione, passata ai più inosservata, di un paio di giorni fa del deputato contiano Angelo Tofalo: «Abbiamo risposto in maniera matura all’appello del capo dello Stato per mettere in sicurezza il nostro Paese sostenendo questo governo. C’è sicuramente ancora molto da fare, ma la luce in fondo al tunnel si inizia a vedere e credo sia doveroso chiedersi se sia ancora realmente necessario sostenere il governo Draghi. Forse non più. Porrò questo tema a Conte e ai ministri del M5S». 
Così cresce nell’ex premier la Grande Tentazione.

Per tre ragioni. La prima: passare all’opposizione (Draghi avrebbe comunque numeri sufficienti anche in Senato) permetterebbe a Conte di restituire (almeno in parte) al M5S la verginità di Movimento anti-sistema. E ciò potrebbe interrompere l’inesorabile declino che ha visto i grillini dimezzare il loro patrimonio di voti dal 2018 a oggi. In più, in vista delle elezioni d’autunno nelle grandi città (Roma, Milano, Napoli, Torino, Bologna, etc), il cambio di fase potrebbe servire a scongiurare l’ennesimo tracollo elettorale. «Se la smettiamo di sostenere Draghi», dice un senatore 5Stelle di lotta e poco di governo, «possiamo riprenderci almeno una parte dei voti che abbiamo perso e che sono finiti alla Meloni. Se FdI continua a crescere è solo perché è sola all’opposizione...».

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La seconda ragione che dovrebbe spingere Conte a uscire dal governo è interna. Se restasse immobile, limitandosi ad alzare la voce sui singoli dossier come fa Salvini (e a volte il dem Enrico Letta), difficilmente potrebbe ammortizzare la spinta degli ortodossi tentati dalla scissione. E di sicuro non disinnescherebbe il progetto del contro-Movimento messo in cantiere da Davide Casaleggio. 

La terza ragione riguarda il merito: l’ex avvocato del popolo, che ha bocciato la svolta garantista di Luigi Di Maio dimostrandosi fedele all’ortodossia grillina, è descritto «profondamente scontento» dalle mosse del governo su giustizia, infrastrutture e ambiente. Dossier, quest’ultimo, dove è finito nel mirino proprio il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani, passato da amico a nemico per via di trivelle, inceneritori e dell’ipotesi di tornare al nucleare.

Tre ragioni talmente valide che gli stretti collaboratori dell’ex premier confermano il primo step: «E’ certo che Giuseppe farà sentire forte la voce del M5S a Draghi». E non escludono il disimpegno dal governo: «Ancora non si sa...». Il che vale come conferma: l’ipotesi esiste, è saldamente in piedi. Ed è, probabilmente, più di una tentazione. «Aspetteremo un casus belli, un incidente su uno dei nostri temi-bandiera, per annunciare lo strappo...», prevede un deputato che professa fedeltà all’avvocato di Volturara Appula.

Gli ostacoli

Se Conte non esce allo scoperto non è soltanto perché attende di essere incoronato leader del Movimento. L’ex premier sa bene che l’ala governista del M5S guidata da Luigi Di Maio è pronta a salire sulle barricate. E sa altrettanto bene che uscire dal governo vorrebbe dire rinunciare a partecipare alla gestione dei 248 miliardi del Recovery Plan, anche se i ministri grillini non sono certo quelli che avranno in pugno i capitoli di spesa “pesanti”. In più, Conte sa che potrebbe scattare la rivolta di gran parte dei parlamentari: in caso di disimpegno dal governo, deputati e senatori grillini ritengono probabili le elezioni anticipate il prossimo giugno, una volta eletto il nuovo capo dello Stato. Ben sapendo che pochi di loro torneranno in Parlamento (anche a causa degli taglio dei seggi da 945 a 600). Conte invece coltiva l’ambizione di misurare e consolidare, appena possibile, la sua leadership con la prova elettorale. Per poi avere dalla sua gruppi parlamentari (pur se esigui) fedeli e omogenei. Un’altra ragione che ancora frena l’ex premier è il rapporto con il Pd. Rompere con Draghi e andare all’opposizione vorrebbe dire archiviare (forse definitivamente) l’ipotesi di un’alleanza organica con i dem. Ma del resto il progetto del “fronte progressista” deve ancora decollare, come dimostrano i fallimenti (Napoli a parte) della trattativa per i candidati sindaco nelle grandi città.

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