Covid, il Lazio resiste e blinda i confini: stop ai pendolari

Covid, il Lazio resiste e blinda i confini: stop ai pendolari
Covid, il Lazio resiste e blinda i confini: stop ai pendolari
di Lorenzo De Cicco e Mauro Evangelisti
5 Minuti di Lettura
Sabato 14 Novembre 2020, 00:14 - Ultimo aggiornamento: 18:43

L’attesa disfatta di Roma e del Lazio, di fronte all’avanzata di Covid-19, non c’è. Insieme alla Sardegna, ha l’Rt più basso d’Italia, a 1,04. E come unica regione in fascia gialla del centro Italia, insieme al Molise, ora si troverà costretta a difendere i propri confini. Con uno scenario possibile: se, come avvenuto negli ultimi giorni, pazienti Covid campani verranno a chiedere aiuto ai pronto soccorso laziali, perché nella propria città gli ospedali sono allo stremo, ovviamente non saranno respinti. Però potrà scattare la segnalazione all’autorità giudiziaria, perché significa che quel cittadino ha violato la zona rossa. Non solo: controlli saranno organizzati anche nelle strade e nelle stazioni. I pazienti non giungono soltanto dalla Campania. Già nelle ultime tre settimane Pier Luigi Bartoletti, che guida le Uscar del Lazio (le squadre speciali anti Covid sul territorio) aveva registrato una situazione anomala: «Abbiamo trovato un centinaio di pazienti calabresi. Molti si sono trasferiti da parenti che abitano a Roma», racconta. Episodi che vanno a sommarsi agli accessi negli ospedali del basso Lazio, soprattutto a Latina, di malati provenienti da Napoli e Caserta. C’è chi è arrivato in macchina con la bombola d’ossigeno, come ha raccontato ieri il Messaggero.

Campania zona arancione? È già fuga dei malati Covid verso il Lazio

La mappa

 Il Lazio è circondato. A sud c’è la Campania, a nord la Toscana, entrambe sono in fascia rossa, con limitazioni molto simili a quelle del lockdown. A est ci sono l’Abruzzo e l’Umbria, già in fascia arancione, solo lo stretto confine con il Molise consente al Lazio di comunicare con un’altra area di fascia gialla, dove le restrizioni sono meno pesanti. C’è di più: non solo Roma è l’unica grande città italiana che evita chiusure rigorose, ma è anche l’unica capitale d’Europa, se si esclude la virtuosa Germania, a restare a galla. Sono in affanno Madrid, Parigi, Londra, Vienna. La situazione è perfino più grave a Praga e Bruxelles, dove c’è una incidenza dei contagi doppia a quella di Roma. Va detto che il Lazio è stato aiutato dalla presenza nella Capitale di un centro di eccellenza delle malattie infettive come lo Spallanzani, che ha indicato la rotta soprattutto sul fronte del tracciamento e dell’utilizzo dei tamponi rapidi in modo massiccio, guarda caso con una scelta gemella di quella del Veneto che oggi è l’altra grande regione in fascia gialla. Ieri l’assessore regionale alla Salute, Alessio D’Amato, ha precisato: non è vero che il Lazio conta anche i test rapidi nel totale dei tamponi eseguiti (vengono inseriti solo quelli positivi con un valore molto alto che non necessitano conferma del molecolare).

Quindi la percentuale dell’11,5 per cento (la più bassa in Italia) di positivi sul numero di casi testati è incoraggiante. Ma proprio l’arma dei tamponi rapidi ha consentito di fare screening ad esempio nei porti e negli aeroporti, riducendo l’impatto (che comunque è stato pesante) del rientro dalle vacanze (senza i tamponi rapidi difficilmente sarebbero stati intercettati, ad esempio, i 3.500 tornati dalla Sardegna, che da asintomatici avrebbero alimentato il fuoco del contagio). Oggi gli indicatori che salvano il Lazio sono quelli dell’Rt (l’indice di trasmissione sceso a 1,04), una incidenza sul numero di abitanti accettabile (tra le regioni più virtuose è al settimo posto, con 224,29 casi ogni 100mila abitanti nell’ultima settimana, la metà di Lombardia e Piemonte), una discreta capacità di tracciamento, la probabilità di saturazione dei posti letto anche in terapia intensiva sotto il 50 per cento. Va tutto bene? No, per niente, ma va meno peggio che in altre regioni.

Affanno

Ai drive in ci sono state code chilometriche e ora si sta sperimentando la formula della prenotazione, ma i tempi di risposta sono ancora lunghi; si sta pagando, probabilmente, il fatto di aver rifiutato a lungo l’apertura anche ai privati per l’esecuzione dei test molecolari, accentrando tutto sui laboratori pubblici (solo di recente su questo c’è stata una correzione di rotta). I pronto soccorso sono in estrema difficoltà, perché l’attivazione di nuovi posti letto (pianificati altri 2.000) va a rilento, per cui si sono creati dei “tappi”, con i pazienti Covid che restano anche quattro-cinque giorni in attesa di ricovero. Inoltre, la lentezza dei responsi dei tamponi fa sì che molti pazienti preoccupati, con i sintomi, corrano a chiedere aiuto ai pronto soccorso, intasandoli, perché sanno che lì sarà eseguito il test. In sintesi: tamponi rapidi e tracciamento, hanno evitato che l’epidemia finisse fuori controllo e dunque per ora il Lazio resta giallo, ma negli ospedali la situazione è complessa, ancora l’assistenza domiciliare non è sufficientemente efficace. C’è un altro problema: l’arrivo di altri pazienti da regioni confinanti. Martedì alla Prefettura di Roma si riunirà il Comitato per l’ordine e la sicurezza. Da una parte è necessario alzare il livello dei controlli, per evitare che comportamenti imprudenti compromettano i risultati raggiunti nel frenare il contagio, tenendo sempre conto che ogni giorno comunque si registrano oltre 2.600 nuovi casi positivi. Dall’altra si organizzerà la vigilanza sulle strade di ingresso dalle altre regioni, ma anche alle stazioni.

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