Crollo causato dalla perdita di quasi 2 milioni di litri d'acqua, il giudice: «Sistema operativo di Mms carente»

La voragine di Orciano apertasi alle 20 del 2 ottobre 2015
La voragine di Orciano apertasi alle 20 del 2 ottobre 2015
di Lorenzo Furlani
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Lunedì 7 Marzo 2022, 09:27

PESARO - Il crollo della strada di Orciano di Pesaro la sera del 2 ottobre 2015 fu provocato da una perdita massiva di acqua (stimata tra 1,7 e 2 milioni di litri) dalla condotta idrica, che aveva saturato il terreno fino a provocarne la frana: un evento sì improvviso ma annunciato da ripetuti segnali di allarme. Le numerose segnalazioni dei cittadini, le frequenti rotture della condotta riparate in modo improprio, l’anomala variazione di portata registrata furono trascurati per un’inadeguata organizzazione operativa di Marche Multiservizi: da ciò la responsabilità penale delle sue figure chiave per la mancata prevenzione del rischio per l’incolumità pubblica.

 

La ricostruzione delle colpe
È questa in sintesi l’argomentazione con la quale il giudice del Tribunale di Pesaro Francesco Messina ha motivato la condanna per disastro colposo di Mauro Tiviroli, amministratore delegato, Simona Francolini, dirigente delle reti e Marco Cini, responsabile di zona di Marche Multiservizi. La motivazione della sentenza è stata depositata entro i 60 giorni previsti dalla lettura del dispositivo: per i tre imputati la condanna è a 8 mesi di reclusione (la pena base di un anno meno un terzo per il giudizio abbreviato), con la sospensione condizionale e il pagamento delle spese processuali (non c’erano parti civili).

Per accertare la causa della voragine, che solamente per circostanze fortunate non ha causato vittime, la sentenza descrive in modo analitico un caso grave ed esemplare di cattiva manutenzione della condotta idrica, ricostruendo le colpe specifiche che derivano dalla convenzione con cui Autorità di ambito territoriale ottimale 1 ha conferito la gestione del servizio idrico integrato a Marche Multiservizi. Una vicenda particolarmente sensibile per l’attualità del dibattito sui servizi pubblici locali e la loro migliore organizzazione gestionale.
Il giudice ha fondato il suo giudizio sulle valutazioni del perito, da lui incaricato per venire a capo delle diverse tesi proposte dai consulenti di parte per spiegare il crollo: l’ingegnere Michele Stella, dirigente di ricerca del Cnr di Bari, il quale ha confutato tutte le argomentazioni dei tecnici della difesa (le abbondanti piogge, il sisma, la falda freatica, la fragilità geologica, il traffico pesante: inconferenti o non provate), avallando in gran parte la ricostruzione dei tecnici del pubblico ministero.

Le valutazioni del perito
«Non vi è dubbio che le valutazioni tecniche del perito sono molto chiare - scrive il giudice Messina - perché pongono l’accento sui numerosi profili critici che rinvenivano: dalla particolarità della zona interessata dalla frana; dalla conosciuta vetustà delle condotte idriche; dall’oggettivo sversamento di notevoli quantitativi d’acqua dovuto alle “rotture” delle tubazioni idriche; dalla non corretta utilizzazione di materiali per effettuare le riparazioni.

Tutto ciò costituisce un indiscutibile riscontro della sottovalutazione del pericolo e della scarsa attenzione operativa da parte di chi era tenuto alla gestione della rete idrica per una zona che, per note peculiarità orografiche e storiche (anche con riferimento alla qualità degli impianti ivi esistenti), necessitava di scelte operative specifiche e necessarie, non differibili nel tempo e non di occasionali riparazioni (peraltro effettuate con materiale e in modi impropri e, quindi, non a regola d’arte)».

Le dichiarazioni dell'ingegnera Francolini
Oltre alle rigorose indagini tecniche e verifiche scientifiche, significative sono state le dichiarazioni dell’ingegnera Francolini sulla gestione dei controlli. «Si tratta, all’evidenza, di un sistema carente sul piano tecnico-operativo - osserva il giudice -, demandato al puro senso civico dei cittadini oppure alla maggiore o minore prontezza (umana) da parte del personale più direttamente operativo. Ma ciò che è indiscutibile è che un tale sistema ha manifestato tutta la sua inidoneità perché non è risultato adatto a impedire un evento di portata enorme che poteva provocare (anche per l’orario serale in cui si è verificato) numerosissime vittime con conseguenze gravissime per l’intera comunità».

Solamente dopo il crollo Marche Multiservizi, come ha rilevato il pubblico ministero nel processo, si è attrezzata con un sistema di telecontrollo delle perdite della rete idrica.

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