Screening con i test antigenici, Crisanti critica la Regione: «Così l'impatto è quasi zero»

Il professor Andrea Crisanti
Il professor Andrea Crisanti
di Lorenzo Furlani
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Lunedì 22 Febbraio 2021, 07:30

PESARO - «Se c’è un’adesione tiepida allo screening di massa e allo stesso tempo si usa un tampone antigenico che ha una prestazione del 70%, ovvero su 10 positivi ne prende 7, l’impatto è quasi zero». È il giudizio del professor Andrea Crisanti, uno dei maggiori esperti nazionali della lotta al Covid-19, sull’effetto epidemiologico dell’operazione Marche Sicure lanciata nel dicembre scorso dalla giunta regionale.

Il docente di microbiologia dell’università di Padova, artefice delle misure che nella prima ondata della pandemia resero un modello la risposta al virus della Regione Veneto, ha criticato la gestione marchigiana partecipando al dibattito online organizzato dal Forum Pietro Greco sul tema “Il caso Marche: la sanità e la pandemia”.

«Ricerca da ripetere dopo 5 giorni»
«Per ovviare a questo difetto di sensibilità dei tamponi antigenici (che ricercano l’antigene rispetto ai tamponi molecolari che invece identificano l’Rna, ndr) - ha spiegato il professor Crisanti, stimolato dalle domande del giornalista Michele Mezza - gli antigenici dovrebbero essere fatti tutti quanti possibilmente nello stesso giorno e ripetuti dopo 5 giorni, quindi sono molto difficili da organizzare. Solamente in questo modo si riesce a compensare il difetto di sensibilità del 70%. Se si fa lo screening con gli antigenici una volta sola e per di più diluito nel tempo succede che si lascia il 30 per cento dei positivi con una capacità di moltiplicazione del virus. Si guadagnano al massimo dieci giorni nella dinamica di trasmissione del virus se c’è un’adesione massiccia della popolazione». Se, invece, l’adesione è modesta l’effetto sulla curva epidemica, appunto, è pressoché nullo.

Crisanti con la sua analisi si è inserito nel solco della riflessione di Claudio Maffei, esperto di sanità per la sua competenza di ex dirigente regionale, che ha giudicato fortemente illogica la scelta della Regione di procedere con la ricerca di massa dei positivi al virus in modo scaglionato tra le città e prolungato nel tempo. «Una tecnica totalmente irrazionale - ha sottolineato -: lo screening ha senso solo se si svuota la vasca della popolazione generale dai soggetti infetti in pochissimo tempo».

Maffei: carenti prevenzione e territorio
Le difficoltà della risposta alla pandemia nella regione non nascono certamente oggi bensì vengono da lontano, investendo l’organizzazione complessiva della sanità. «La situazione delle Marche si è caratterizzata per essere stata fortemente influenzata da due scelte vecchie delle precedenti giunte - ha rilevato Maffei -, che hanno disinvestito in maniera colpevole nei confronti dei dipartimenti di prevenzione, in modo particolare, e dei servizi distrettuali, quindi la sanità delle Marche è arrivata nelle peggiori condizioni possibili ad affrontare una situazione che richiedeva proprio dipartimento di prevenzione e territorio più forti». Analisi confermata nel dibattito online dal segretario della Cgil di Pesaro Urbino, Roberto Rossini, che ha segnalato lo svuotamento, nel corso degli anni, dei distretti sanitari.

«Mancano i dati da interpretare»
Ma “l’ospedalocentrismo”, ora corretto solamente a parole, non è l’unica criticità. Per Maffei non ci sono dati che consentano di interpretare la diffusione disomogenea del virus nelle Marche: «Si registra l’annullamento della funzione epidemiologica a supporto del governo politico della Regione». Fortissima sul punto la sponda di Crisanti. «Non abbiamo un programma di sorveglianza nazionale finanziato - ha protestato -, che permetta alle strutture periferiche di campionare e sequenziare questo virus con le sue varianti. È una cosa incredibile». Secondo Mezza la carenza di dati certi, raccolti, processati e verificati in modo sistematico da Roma alle Regioni, è il buco nero della gestione della pandemia in Italia.

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