PESARO - Una ventina di giorni di messaggi, chiamate, inseguimenti. Ma l’accusa di stalking cade. Lui è un 47enne peruviano che era stato condannato a un anno e otto mesi per i reati tra cui violenza sessuale, violenza, maltrattamenti. Ma nei giorni successivi al divorzio ha continuato a sentire la ex, con troppa insistenza. Messaggi, chiamate, senza tregua per quasi un mese.
Tanto che era partita una nuova denuncia per atti persecutori. Lei se lo trovava davanti in ogni situazione, fuori casa, al lavoro, al bar. Non si rassegnava alla fine della loro storia, fino a minacciare il nuovo compagno di lei. Secondo l’accusa monitorava gli spostamenti della ex moglie, la seguiva continuamente tanto da procurarle uno stato di ansia e paura «ingenerando un fondato timore per la propria incolumità al punto da indurre la donna a modificare le proprie abitudini». Tutto era iniziato un anno fa quando lui aveva visto la ex con un altro. Si era avvicinato e lo aveva aggredito strappandogli poi il cellulare dalle mani per evitare che potesse chiamare le forze dell’ordine.
Il telefono fu scaraventato a terra. E’ stato solo l’inizio di una serie di episodi. Perché era stato visto nascondersi dietro la propria auto, sotto casa della ex, per controllarne le uscite. Poi il litigio sotto casa, con lui che la pregava di tornare con lei. Ma la donna, impaurita, si rifugiò a casa dicendogli che avrebbe chiamato le forze dell’ordine.
Ma lui imperterrito non desistette.
L’imputato è difeso da Alessandro Pagnini che sottolinea: «Purtroppo quando una famiglia va in frantumi non ci sono mai vincitori né vinti, ma ovviamente siamo molto soddisfatti. Credo sia stato riconosciuto all’imputato di avere tentato di salvare il proprio matrimonio, senza tuttavia trascendere in condotte tipiche persecutorie. Parliamo di 20 giorni in cui voleva provare a recuperare il rapporto, dunque un periodo limitato e non tale da far cambiare le condotte di vita alla ex».